Veronica Gambara, assai nota come poetessa tanto da essere accostata a figure quali Gaspara Stampa e Vittoria Colonna, e lodata, ancor prima di conoscerla personalmente, da Pietro Bembo – il quale conclude uno dei suoi sonetti affermando “e la voce udirò, che Brescia onora”- in realtà si caratterizza per uno sfaccettato profilo nel quale coesistono e si integrano la letterata, l’accorta politica e reggente del feudo del marito, la lucida intellettuale profonda conoscitrice del suo tempo e l’instancabile animatrice di cenacoli culturali. La sua cifra essenziale è quella di “poetessa reggente”, come emerge anche dalla sua corrispondenza con Pietro Bembo, che ci presenta l’immagine di una donna intenta a comporre versi e, allo stesso tempo, “politicamente impegnata, sempre attenta a cogliere l’occasione per creare una rete di protezione per la famiglia e il feudo”.
1. Brescia. Foto di Claudia Speziali
Veronica nasce nel vecchio castello, poi distrutto nel XVIII secolo, di Pratalboino (oggi Pralboino) la notte tra il 29 e il 30 novembre 1485, figlia di Alda dei Pio di Carpi e di Gianfrancesco Gambara, titolare del feudo. La famiglia Gambara, nobile e assai colta, fa crescere figli e figlie in un ambiente nutrito di cultura e profonda ammirazione per i classici e l’antichità. Veronica riceve un’ottima educazione umanistica che comprende lo studio della filosofia, della teologia e del latino.
Per le famiglie nobili vige la consuetudine di cimentarsi con la poesia e la conversazione letteraria e Veronica comincia quindi a scrivere versi già nell’adolescenza, prendendo a modello la lirica petrarchesca e mostrando un notevole talento e un accento personale, una voce poetica unica e privata che si discosta fin dall’inizio dalle tante imitazioni di maniera. La ragazza trascorre l’adolescenza tra Pratalboino e Brescia. All’epoca la città, molto ricca, è caratterizzata da un vivace fermento culturale, che vede, con un gruppo di poetesse petrarchiste, l’affermazione autorevole delle donne delle “corti, tra cui la giovane Gambara.
2. Varese. Foto di Maria Pia Ercolini
Nella ricerca di un marito per Veronica, degno di lei per rango e ricchezze, i genitori si muovono in un ambito parentale e umanistico, scegliendo Gilberto VII (o Giberto), signore di Correggio, già padre di due figlie e vedovo di Violante Pico, nipote del celebre umanista neoplatonico Giovanni Pico della Mirandola. Il matrimonio civile viene celebrato per procura a Brescia il 6 ottobre 1508, mentre quello religioso, ottenuta la dispensa papale dovuta alla parentela, in forma privata ad Amalfi nel 1509. Il matrimonio, per quanto combinato, pare rivelarsi felice: la giovane si stabilisce nel piccolo feudo di Correggio ambientandovisi con facilità e si inserisce a pieno titolo nel fervore culturale e religioso del suo tempo.
Nel 1510 nasce Ippolito, che ha come padrino di battesimo il cardinale Ippolito d’Este e come madrina Isabella Gonzaga, scelta suggerita da ragioni di convenienza politica, visto l’incombere sul piccolo stato dell’ombra del potente ducato estense, e l’anno successivo viene alla luce il secondogenito Girolamo. Nel 1518 Giberto, a causa di un contagio da febbri malariche, muore non prima di averla nominata amministratrice dei beni dei figli e averle conferito la facoltà di coreggente della signoria, affiancandole il nipote Manfredo III.
3. Correggio. Presunto ritratto di Veronica Gambara (1517-18)
Il dolore per la morte del marito induce Veronica a escludere qualunque ipotesi di nuove nozze. Si occupa con grande abilità e determinazione dell’amministrazione dello stato, e con familistica lungimiranza dell’educazione dei due figli maschi e della strategia matrimoniale delle figlie femmine di primo letto di Giberto, rivelandosi una delle grandi madri reggenti del XVI secolo.
Per garantire l’indipendenza della piccola contea di Correggio attua una politica di prudente e guardinga amicizia con i potenti vicini, in continuità con quella del defunto marito, e abbandona il tradizionale atteggiamento filofrancese dei feudatari padani e ricerca l’amicizia e la protezione di Carlo V, cui dedica cinque sonetti. Il suo passaggio da un orientamento filofrancese a uno filoimperiale si colloca sullo sfondo di forti spinte centrifughe, il definitivo tramonto dell’universalismo medievale, la scissione della Cristianità, determinata dalla Riforma protestante, e la minaccia turca. L’imperatore le appare dunque come l’unico garante dell’ordine e baluardo della tradizione e della fede, colui che “duo mondi ha vinto”, ovvero la Francia di Francesco I e i Turchi. Veronica spera inoltre che Carlo V si adoperi per il reintegro dei Gambara nei loro possedimenti di Brescia, confiscati dalla Serenissima. Il suo feudo riceve una nuova investitura dall’imperatore nel 1520 e la restituzione dei possedimenti agognati nel 1532.
4. Roma. Foto di Barbara Belotti
Nella politica familiare l si appoggia ai potenti fratelli per consolidare le sorti dello Stato attraverso la scalata a cariche prestigiose. Con l’obiettivo di non dividere l’esiguo patrimonio, destina il primogenito Ippolito alla successione e lo fa avviare al mestiere delle armi, mentre Girolamo viene indirizzato alla carriera ecclesiastica. Quando nel 1528 il Papa Clemente VII nomina Uberto Gambara governatore di Bologna, Gerolamo viene inviato presso lo zio per impratichirsi nei maneggi diplomatici, e Veronica stessa, alla fine dell’anno, si trasferisce a Bologna, occupando una posizione di primo piano grazie alla stretta parentela con il governatore, che le consente di godere di un rango prestigioso in occasione dell’incoronazione imperiale di Carlo V da parte del Papa e a ottenere una condotta per Ippolito nell’esercito imperiale. Per l’occasione si recano a Bologna molti nobili e uomini di cultura, tra i quali Francesco Guicciardini, Pietro Bembo, Francesco Maria Molza, Gian Giorgio Trissino, Francesco Berni, e la reggente di Correggio coglie l’opportunità di rinsaldare i suoi legami con il mondo delle lettere e dare vita a un ben frequentato salotto nella città emiliana. La corte di Correggio, del resto, proprio grazie a Veronica, è un centro di rilievo nel panorama culturale del Rinascimento e vanta ospiti eccellenti quali Lodovico Ariosto, Pietro Bembo, Pietro Aretino, Bernardo Tasso e Carlo V, che si reca a Correggio in due occasioni, nel 1530 e nel 1533.
Al fine di concentrare nelle mani del figlio le sorti patrimoniali e dinastiche del piccolo stato, inizia le trattative per il matrimonio di Ippolito, con Chiara di Correggio, figlia ed erede universale del cugino Gianfrancesco.
Dagli anni Quaranta il governo del feudo passa nelle mani di Ippolito e dunque Veronica può concentrarsi maggiormente sull’attività letteraria, da lei mai davvero trascurata.
È del 1549 il suo ultimo viaggio, a Mantova, per le nozze del duca Francesco III con Caterina d’Asburgo; muore, infatti, il 13 giugno 1550.
Secondo il letterato correggese Rinaldo Corso, sarebbe stata sepolta con un ramo di ulivo e in bocca uno di lauro, a simboleggiare l’indole pacifica e il culto delle Muse.
5. Viterbo. Foto di Maria Pia Ercolini
Della sua produzione letteraria ci restano le Rime, molto amate dai lirici contemporanei e da poeti successivi come Giacomo Leopardi, e le Lettere, dalle quali emerge una figura capace di reggere il confronto con le grandi donne del suo tempo, prima fra tutte Isabella d’Este con cui condivide la vivace partecipazione alla vita culturale e politica del primo Cinquecento.
Numerose sono le intitolazioni stradali in tutta Italia, da Milano a Roma, da Palermo a Brescia, dove esiste anche un liceo con il suo nome, e un premio del Museo Musicale, conferito a donne che si sono distinte nella valorizzazione e promozione culturale in città.
In copertina: Milano, foto di Paola Bortolani