Le architetture fantastiche nelle illustrazioni di Giovanni Colaneri

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Tanti piccoli elementi che interagiscono tra loro per formare una grande composizione e dare vita a una struttura più grande, come un mosaico. Le illustrazioni di Giovanni Colaneri sono come un grande collage di elementi: figure di uomini e donne dialogano con oggetti e strutture geometriche e architettoniche, per dare vita a dei veri e propri macrocosmi dove ogni cosa trova silenziosamente il suo posto.

Giovanni Colaneri è un giovane illustratore napoletano, laureato all’Accademia di Belle Arti di Firenze in Grafica d’arte, per poi proseguire i suoi studi all’ISIA di Urbino nel biennio in Illustrazione.

Fig. 1

Nel 2016 è tra gli illustratori selezionati al Bologna Children’s Book Fair. Nello stesso anno è tra i 29 selezionati al concorso That’s a mole!.

Nel 2017 vince il concorso Art stop monti, che ha come obiettivo la promozione di interventi artistici all’interno delle stazioni metropolitane di Roma. Giovanni realizza due illustrazioni destinate agli ingressi della stazione Cavour della Metro B di Roma, nelle quali combina persone con elementi architettonici di Roma, che accostate creano delle lettere, minuscole e maiuscole.

Tra le collaborazioni di Giovanni, troviamo quella con Pelo Magazine, la rivista made in ISIA.

Fig. 2

I colori che Giovanni utilizza sono sempre tenui, la cui delicatezza deriva anche dagli strumenti utilizzati, ovvero colori ad acqua. La bellezza delle sue illustrazioni sta nella grande complessità di elementi al loro interno, dove ogni cosa deve avere il giusto colore per tirare fuori una composizione bilanciata.

Le illustrazioni di Giovanni Colaneri sono inclusive, a ricordarci che una società è tale perché formata da tanti elementi diversi che, senza attirare troppo l’attenzione, trovano il loro posto e si inseriscono in qualcosa di più grande: un messaggio molto importante in questo momento storico. Le sue illustrazioni sono come un grido silenzioso che si diffonde per trovare il suo posto, senza fare troppo rumore o troppo scalpore.

Fig. 3

Ho fatto qualche domanda a Giovanni per scoprire qualcosa di più su di lui e sul suo lavoro.

Le tue illustrazioni si caratterizzano per essere delle composizioni formate da tanti elementi.

Come costruisci le tue illustrazioni?

Comincio con un piccolo outing come premessa: di base ho il terrore del vuoto, il famosissimo horror vacui. Credo di essere peggiorato col tempo, man mano che disegnavo. A volte non ce la faccio proprio a vedere quel piccolo spazio bianco vuoto tra due omini, quindi qualcosa ce la devo mettere per forza, che sia una sfera, un cubo o altro. Stava diventando un problema quando iniziavo a riempire proprio tutto, però la buona notizia è che ultimamente ci sto lavorando su e a volte quello spazietto riesco a lasciarlo così com’è. Questo per spiegare i tanti elementi. Come le costruisco invece è difficile da spiegare, proverò a farlo in senso ampio. Quando mi siedo alla scrivania, metto le cuffie e mi alieno che manco io so come faccio e ci posso stare per tutto il tempo che voglio. Uso principalmente matite e pennarelli, soprattutto pantoni ma anche acquerelli, brushpen, acrilici, a seconda di quello che serve. Disegno oggetti, luoghi, piante e soprattutto persone, tante e tutte diverse, giganti o minuscole, reali o fantastiche, che fanno cose tra di loro o in solitudine, a seconda delle parole, di come mi sento, di cosa devo raccontare e a chi. In ognuno di queste c’è una parte di me che viene fuori, del mio mondo. È tutto.

Una domanda di rito: progetti nel cassetto che vorresti tirare fuori?

Ho un cassetto gigante e ogni volta che lo apro mi ci perdo. Ci metto dentro tutto quello che sento mio. Saper aspettare è importante. Se ho qualcosa che non sono molto sicuro di voler tirare fuori, la lascio lì fino a quando non mi sento pronto. Un progetto così l’ho realizzato quest’anno ed è Che cos’è una sindrome?, la mia tesi di laurea. Dal titolo si capisce di cosa parla, è un argomento che mi sta molto a cuore, quello della disabilità. Vorrei tirarne fuori altri sul tema, spaziando sempre di più nella diversità. Ho molta voglia di farlo perché sento che nella società in cui viviamo manca un’educazione al rispetto della diversità. Non è vero che siamo tutti uguali, anzi, siamo tutti diversi e tutti dovremmo avere gli stessi diritti, nessuno escluso. Almeno, io l’ho vissuta e la vedo così. Mi piacerebbe fare molto per questo, perché il mio lavoro possa dare un contributo, anche minimo, per riuscire a stare meglio in questo mondo. Stavo pensando da un po’ che ho quasi sempre usato figure umane per i miei lavori, mi manca disegnare una storia con protagonista un amico a quattro zampe. Qualche settimana fa ho disegnato un cammello e gli ho dato un nome, Dario. Non sapeva come sentirsi e così ha iniziato la sua corsa alla ricerca di sé, della sua identità perché non si sentiva cammello. Chissà dove andrà o cosa scoprirà, di sé e del mondo che lo circonda. Il bello di creare storie per me è anche questo.

Fig. 4

Nel 2016 sei stato selezionato in un concorso internazionale e da lì non ti sei più fermato: quali sono i tuoi programmi?

Hashtag fatturare. Scherzi a parte, in realtà ogni tanto mi fermo o comunque mi sono fermato. Da quell’esperienza ne sono uscito leggermente meglio di prima. Parlo della mia autostima, che era sempre a zero, invece adesso ce n’è qualche briciolo in più. Sì, cerco di continuare sempre e comunque anche perché, come si dice, chi si ferma è perduto. Sinceramente non ho particolari programmi per il futuro, ma alcune cose che cercherò di fare ogni giorno ce ne sono, illustrazione a parte, intendo. Cercare di stare bene, ad esempio, che non è la cosa più facile. Fare quello che mi piace, sempre o almeno ogni volta che posso. Non smettere di crescere e restare curioso e meravigliato dalle cose, come fa un bambino. Non perdere le amicizie, quelle belle, sparse per l’Italia e per il mondo, che la distanza a volte è proprio brutta. Parlare un po’ di più, in generale, perché è una cosa che non fa parte di me e chi mi conosce lo sa bene. A pensarci bene, per adesso seguirò Dario, per un po’, vedo dove mi porterà. 

Fig. 5