Isabella e Margot, di Rosetta Loy

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È noto che Rosetta Loy, nata nel 1931, di cultura cattolica profondamente vissuta, ritiene fondamentale nella sua riflessione esistenziale il tema della shoah, che ha trasposto, con un’angolazione molto originale, in uno tra i suoi più noti romanzi La parola ebreo, uscito nel 1997. Attraverso la vicenda della persecuzioni degli ebrei italiani, di persone a lei ben note e care, mette soprattutto in evidenza l’assenza di solidarietà di coloro che dalla persecuzione non erano toccati, e che, se e quando la solidarietà scattò, per molti era ormai tardi, per tutti la vita era drammaticamente, incomprensibilmente cambiata e segnata da dolori immedicabili.

E, nello stesso 1997, Loy pubblica un altro romanzo, Cioccolata da Hanselmann, che narra l’amore di due sorelle, Isabella e Margot, per Arturo Cohen, un professore universitario ebreo, collega del marito di Isabella e assiduo frequentatore della loro casa.

La vicenda, che inizia poco prima della promulgazione delle leggi razziste in Italia, ha un’articolazione complessa, a partire dal narratore esterno che nella prima parte del romanzo, mostra gli eventi, dal punto di vista della piccola Lorenza, prima figlia di Isabella e di Enrico.

Frattanto, Margot vive in Svizzera, fra Ginevra e la montagna, in una grande e ricca residenza, con l’autoritaria madre, la signora Arnitz, anziana, ma ancora attraversata da desideri, dopo una vita di molte, per lo più fuggevoli, relazioni e di due matrimoni, dal primo dei quali ha avuto Isabella e Alberto, morto in Africa di una misteriosa infezione, dal secondo, Margot. Lorenza per alcuni mesi è ospite della nonna, per riprendere le forze dopo essere stata malata, lì oltre la nonna svizzera, che tutti in famiglia chiamano “mamigna”, e Margot, c’è Marisetta, la figlia adolescente di Alberto, e la sua amica inseparabile, Vivia, quindi Eddy, figlio del secondo marito di mamigna, e della donna ch’egli ha sposato dopo il divorzio da Arnitz. Da qui, ma non definitivamente, il narratore esterno racconta da un punto di vista tradizionale, senza preferire il punto di vista di un personaggio o di un altro.

Eddy e le ragazze trascorrono i giorni in montagna sciando e passeggiando, mentre vivono fra loro rapporti attraversati da cameratismo, ma pure da affetti ambigui, mentre i pochi personaggi estranei a quel nucleo, come un corteggiatore di Margot che spera di sposarla, restano marginali. Non privo di mistero è il rapporto tra Eddy e Margot, spesso sbilanciato verso un inizio di relazione amorosa, con lui che la ama e lei che gli vuole un bene che la induce a consentire ad alcuni baci, a qualche carezza di qualche intimità.

Quando Lorenza torna a Roma, riprende la vita consueta. Arturo continua a frequentare la loro casa e poco dopo la bambina comprende che fra lui e la madre c’è una relazione. Enrico ne è quasi certamente consapevole, ma manifesta un’accettazione priva di rancore. Ama la moglie e nutre per l’amico un’ammirazione profonda, in cui, verrà accennato molto più tardi, ha parte non irrilevante proprio il sapere che Isabella lo ama, forse anche il fatto che ne è l’amante. Non sembra farsi mai domande, né mai indaga in quella vicenda, che subisce un’improvvisa, brusca interruzione quando Arturo è costretto dall’incalzare degli eventi a lasciare Roma e a tentare di raggiungere la Svizzera. Trascorre ancora tempo, è il 1941, il cerchio intorno agli ebrei d’Europa si stringe, ma tutto ciò che riguarda la guerra giunge ovattato nella grande casa di montagna della nonna, Un giorno arriva Arturo, annunciato da una lettera di Isabella, che ne parla come di un amico suo e del dottor Zurhaus, un anziano medico, nel quale la signora Arnitz ripone gran fiducia: è uno studioso francese di alghe, ce ne sono anche nei laghi, il suo cognome è Colin. Isabella chiede alla madre di ospitarlo. La prima iniziale diffidenza dell’anziana signora per quell’uomo che ha pochissimo denaro ed è senza bagaglio, vestito poveramente, si dissolve presto, di fronte alla sua naturalezza nei rapporti, alla discrezione disinvolta della sua presenza, alla sua conversazione interessante, e anche per il suo fascino virile, a un tempo trattenuto ed evidente, che seduce la donna, la quale, sia pure in una dimensione ormai per lo più contemplativa, continua a essere attratta dall’altro sesso. Quel che mamigna non comprende è che Margot si è immediatamente innamorata di Arturo, e fra loro è nata una relazione di cui tutti nella casa, tutti tranne lei, mamigna, sono consapevoli. E in futuro ella si chiederà, senza pace, come abbia potuto essere stata del tutto cieca e poi, con ira, come abbia potuto lasciarsi ingannare da Margot e da tutti gli altri, i ragazzi, la servitù, e naturalmente da Isabella, e l’ira si trasformerà in un risentimento che non deporrà mai più.

Una sera Eddy, ingelosito, ha una colluttazione con Arturo, dopo la quale esce a precipizio, da lui inseguito, e quella notte stessa anche Margot andrà via da casa per sempre. Per mesi, del destino dei tre fuggiaschi non si saprà nulla, fino al ritrovamento del corpo di Eddy, a una breve inchiesta sulla sua morte, archiviata, seppure con qualche dubbio come incidente, mentre un dubbio atroce attraversa la signora Arnitz, che frattanto ha appreso dalle ragazze rimaste nella casa non solo della relazione tra Arturo e Margot, ma anche che Arturo è ebreo. In seguito a questa circostanza, a lungo la vecchia signora viene ricattata da una cameriera della casa, che vende, mentre Marisetta si trasferisce in un pensionato e la sua amica va via. Finalmente, la guerra finisce. È il 1945: Lorenza e Marta, sua sorella minore, coi genitori, ricevono la visita di Margot e Arturo, che si sono appena sposati. Le ragazze sono cresciute, Margot così snella una volta, è un po’ ingrassata, ma sempre bella e scattante, appare felice, la vita sorride e promette di nuovo, Arturo e Isabella, invece, mostrano qualche tratto di incipiente invecchiamento, si guardano l’un l’altra a tratti con qualche insistenza, a tratti i gesti fra loro sono scivolati, quasi indifferenti. Margot e Arturo partono per Napoli, poi per Capri, verso una vita tutta aperta e libera davanti. Prima di andar via, Margot confida a Isabella di essere incinta. In quello stesso anno, Margot e la madre si incontrano in Svizzera. Le due donne si vedono in un caffè, la vecchia ordina alla famiglia di lasciare l’ebreo, l’uomo che ha certo ucciso Eddy. Margot si ribella. Dopo la fuga di Eddy, Arturo l’ha inutilmente cercato ed è tornato nella notte a riprenderla per fuggire insieme: Eddy aveva scoperto la vera identità di Arturo e, al colmo della gelosia, era uscito per andare a denunciarlo. Era morto certo per un incidente, scivolando per il ghiaccio nel fiume.

Il tempo trascorre veloce e in pochi mesi un male violento e incurabile porta via Isabella. Per sfuggire al dolore immobilizzante in cui si chiudono il padre e la sorella Marta, Lorenza si mette sulle tracce del passato di sua madre, ne cerca brandelli di vita, prima attraverso le fotografie che Isabella aveva raccolto, poi attraverso il suo diario. La sua investigazione la porta a incontrare la nonna, che la sconvolge con le sue accuse a Isabella, di aver rovinato le loro vite mandando da loro quell’uomo, quel suo amico, ma no, dice rabbiosa, quel suo amante. Non nomina Margot, troppo grande il suo rancore, solo, conclude la conversazione osservando amara quanto siano deludenti i figli. Lorenza non si ferma, ritrova Margot. Ella è tornata dagli Stati Uniti, dove Arturo aveva vinto una cattedra universitaria e dove era nato il loro bambino, bellissimo, morto in pochi mesi per una malattia inesorabile. Dopo nulla era più stato lo stesso. Il dolore, che avevano creduto potesse unirli di più, aveva scavato un abisso fra loro, un abisso che aveva preso presto la forma dell’orrendo sospetto di Margot che sua madre avesse ragione, che Arturo avesse ucciso Eddy. Stretto da lei, Arturo aveva ammesso di averlo fatto. Il ragazzo lo avrebbe denunciato e lui non poteva accettare di essere vittima, non era solo la sua vita per la vita dell’altro, era la Giustizia contro coloro che in Europa avevano perseguitato, catturato, torturato, ucciso vecchi donne e bambini ebrei. Margot non aveva saputo accettare quelle spiegazioni, aveva rifiutato di ammettere che Eddy l’avrebbe davvero denunciato, aveva respinto definitivamente Arturo, non era la Giustizia in giuoco, aveva sostenuto, ma la Pietà e gli aveva lanciato contro una frase definitiva: “Non posso capirti. Io sono cattolica”.

Presto si erano separati, lei era tornata dagli Stati Uniti, in seguito lui aveva sposato una sua precedente amante francese, Marie, con la quale, prima di incontrare Margot, aveva salvato un bambino ebreo. Dopo il matrimonio, si erano trasferiti ad Haifa. Margot racconta alla nipote di aver sentito che per lei il tempo dell’amore era finito, finito il tempo di avere di fronte un uomo. Si era ritirata in Svizzera, in montagna e aveva acquistato la povera casa in cui la nipote l’ha trovata. Per mantenersi, fa tappeti e li colora, li vende ai turisti. Il suo aspetto adesso è quello di una montanara, solo qualcosa resta della ragazza bella e sensuale di un tempo, il modo di gettare indietro la testa mentre ride, le piccole mani sottili – ma quanto rugose adesso! – e le braccia snelle.

Nell’ultima parte del romanzo, il cerchio si chiude con una narrazione che non è chiaro se sia ricostruita ancora – ma come? – da Lorenza, o se sia la voce narrante di nuovo esterna e solo adesso onnisciente. Con un nuovo salto indietro nel tempo ci rivela che nel 1945, appena conclusa la guerra, già unito a Margot, Arturo era andato a Roma per incontrare Isabella, che ancora l’amava, che lui amava ancora, avevano fatto l’amore e a lei sola lui aveva detto il suo segreto: l’assassinio di Eddy, la sua difesa, la sua giustizia, non come vendetta, ma per il rifiuto di essere vittima, per rompere il destino di capro espiatorio del suo popolo. Proprio per raccontarle questa vicenda era tornato. Isabella si era stretta a lui e, “cercando di non soffrire”, aveva chiesto se Margot sapesse, quando lui aveva detto di aver taciuto – Margot non avrebbe potuto accettarlo – si erano trovati d’accordo. Presto si erano incontrati ancora, ancora uniti, ma non avevano fatto l’amore, come per una sottolineatura della fine della loro relazione, senza nostalgia, senza rimpianto.

In una parte di sé, ognuno di loro apparterrà per sempre all’altro, in uno spazio arcano e intangibile, oltre l’amore che forse Isabella ha sempre nutrito per Enrico, oltre l’amore che certo Arturo nutre per Margot.

E ancora la voce narrante compie un salto indietro, fino al primo incontro fra Isabella, giovanissima, e Margot, appena adolescente, col piccolo Eddy, condotto dal padre di Margot e di Eddy, a incontrare loro e la signora Arnitz. Il bambino, nel bere la sua cioccolata nel bar Hanselmann, con un gesto irrequieto, mentre non riusciva a staccare l’attenzione da Margot, aveva fatto cadere la tazza, sporcando i pantaloni, il pullover.  Le due ragazze lo avevano aiutato a pulirsi e per consolarlo Margot l’aveva stretto a sé e in quel momento Isabella aveva visto con chiarezza il colore identico del loro incarnato, del taglio degli occhi, la fronte eguale, appena bombata, uguali i piccoli denti bianchi e serrati. Un sùbito amore, dai confini difficili da definire, li aveva presi, un amore che, malgrado ancora nessuno potesse allora immaginarlo, avrebbe deciso un giorno il destino di entrambi.

Il romanzo narra, dunque, di due sorelle innamorate dello stesso uomo, ma innamorate di amori diversi: l’amore di accettazione e non giudicante di Isabella, l’amore di Margot, condizionato da una visione morale che porta al giudizio e alla condanna della differenza dell’altro. Un amore che giudica e un amore che non riesce a perdonare, un amore che dura per sempre e un amore che il giudizio uccide. Torna, forse in questa seconda rappresentazione, il problema che la cattolica Loy si pone anche nell’altro suo romanzo sulla shoah: quello dell’incapacità, diffusa tra i cattolici, di sentire la persecuzione degli ebrei come persecuzione dell’intera umanità, e la tendenza prolungata a non sentirsi toccati dal pericolo e dal dolore che ricadeva su quelle vite d’altri.

 

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Alba Coppola è docente di materie letterarie negli Istituti di istruzione secondaria di II grado. Italianista, ha lavorato per sette anni presso l'Università di Salerno per le cattedre di Letteratura Italiana e di Storia della Grammatica e della Lingua. Ha pubblicato su riviste specializzate, atti di convegni, quotidiani e riviste generaliste. Si è accostata da alcuni anni agli studi di genere con particolare riguardo alla toponomastica.