Tralasciando l’aspetto distonico di chi afferma con forza che bisogna accogliere i migranti ma non è capace di comprendere che la famiglia, per esempio, ormai è di tanti tipi (in questi giorni si è aggiunta pure quella “pluriamorosa”), voglio soffermarmi su un fenomeno antico quanto il mondo ma che lo stesso mondo rende periodicamente immondo: i flussi migratori.
Diamo per assunto di base che se non ci fossimo spostati da un luogo a un altro ci saremmo estinti come specie. Le migrazioni fanno parte della Storia dell’Umanità che, forse, perde ciclicamente nel tempo esistenziale e nello spazio vitale la sua umanità, non tanto nell’incapacità di ospitare chi immigra ma nella chiara volontà di costringere chi emigra ad abbandonare la propria terra.
Cos’è altrimenti il continuare a vendere armi, il fomentare gli odi, l’incrementare le paure, il non creare “nuovi” posti di lavoro, il costringere nell’indigenza, il seguitare a sfruttare risorse e popolazioni?
E così la schiera dei e delle migranti, nel dettaglio rifugiati e profughi, s’infoltisce e dopo quelli politici ed economici si sono aggiunti quelli climatici e ambientali.Se ne parla poco anche perché il Diritto internazionale non prevede la loro protezione: la Convenzione di Ginevra del 1951, infatti, concede lo status di rifugiato solo a chi è perseguitato per razza, religione, cittadinanza, appartenenza a un gruppo sociale o per le proprie opinioni politiche; dell’ambiente e delle conseguenze del clima non c’è traccia.
Molte guerre sono state scatenate da problemi ambientali, dalla siccità dovuta ai cambiamenti climatici al land grabbing-cioè al fatto che una zona un tempo produttiva finisce con non l’esserlo più per via dell’accaparramento forzato di terreni – ma c’è una sottovalutazione del problema.
O meglio, come suggerisce Maurizio Cossa, avvocato che si occupa di immigrazione e diritti umani nell’ASGI (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione),“ il fattore climatico è ancora contestato dalle multinazionali perché mette in discussione un modello economico ormai consolidato.”
Esistono tuttavia, nella realtà,profughi ambientali, costretti a lasciare la loro terra per problemi a insorgenza rapida– frane, eruzioni, inondazioni, terremoti – i cui effetti sono sotto gli occhi di tutti, o per problemi a insorgenza lenta, come siccità, desertificazione, salinizzazione. Parliamo di profughi climatici quando gli eventi ambientali sono causati dai cambiamenti generati dagli esseri umani,dall’industrializzazione forzata e da tutto quello che ne consegue.
(da www.osservatoriodeidiritti.it)
Con il pensiero rivolto anche a quell’altra migrazione, definita da qualcuno “infinita deportazione di massa”, che ancora caratterizza il Sud Italia per motivi economici e ambientali, credo che sia proprio nel “nuovo” il futuro: oltre alla green economye ai green job, è in un “nuovo” senso di umanità per un “nuovo” tipo di economia e di politica la possibilità di ritrovare “nuove” relazioni per la co-esistenza pacifica e giusta.