L’uomo di Saccopastore è una donna!

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La storia dei ritrovamenti fossili in Paleontologia Umana è ricca di colpi di fortuna e incredibili coincidenze.

È quanto è successo per i reperti di Saccopastore, due crani incompleti ritrovati a circa sei anni l’uno dall’altro in località Saccopastore, in una cava di ghiaia sulla via Nomentana a Roma, sulla riva sinistra dell’Aniene, a circa tre chilometri da Porta Pia.

Nel maggio del 1929 un operaio della cava nel corso dei lavori di scavo urtò col suo piccone uno strano sasso che aveva quasi la forma di un cranio umano. Pensò di avvertire il sovraintendente ai lavori che era affittuario della tenuta appartenente al duca Mario Grazioli. Il duca, che la stampa dell’epoca definiva “generale cultore di studi ed autore di pregevoli monografie che interesano la campagna romana”, conosceva il direttore dell’Istituto di Antropologia della vicina Università La Sapienza.

Il professor Sergio Sergi, prontamente avvertito, riconobbe in quel “sasso” un cranio fossile di un ominide risalente, secondo la datazione radiometrica, a circa 125.000 anni fa.

Si tratta dei resti di un cranio quasi completo, di un individuo di sesso femminile, di un’età approssimativa di circa quarant’anni. Le caratteristiche primitive, quali l’assenza di fronte, le arcate sopraorbitarie molto prominenti, le dimensioni della calotta cranica ridotte portarono il professor Sergi a classificare il reperto come pre-neandertaliano o, come si diceva allora, Homo Sapiens pre-neanderthalensis.

Questa donna di età matura, ritrovata così fortunosamente, era vissuta, come testimoniavano gli strati geologici e i reperti di fauna accompagnante, in un periodo interglaciale, caratterizzato da un clima caldo umido che permetteva nelle campagne laziali la presenza di una fauna tipica di climi caldi quali, elefanti, rinoceronti, ippopotami e una flora che oltre a boschi di querceto misto  presentava ad esempio una specie di olmo attualmente presente in Asia e nell’isola di Creta.. Il paesaggio era molto diverso dall’attuale caratterizzato all’orizzonte dalle sagome dei vulcani laziali in quel periodo ancora in attività oltre a una serie di bacini lacustri di varie dimensioni.

Nella stessa località, nel luglio del 1935 altri antropologi tra cui l’Abate H. Breuil, professore del’Istituto di Paleontologia Umana di Parigi ed Alberto Carlo Blanc, giovane antropologo italiano che qualche anno più tardi avrebbe studiato il famoso cranio neandertaliano della Grotta Guattari a San Felice al Circeo (LT), videro affiorare dalle pareti della cava un altro reperto, più incompleto ma sufficiente a riconoscere in esso le stesse caratteristiche del primo. Indicato come Saccopastore II rappresenta un individuo di sesso maschile, di circa 25/30 anni.

Entrambi i reperti, studiati a lungo dal Professor Sergi, sono custoditi nella cassaforte dell’Istituto di Antropologia dell’Università La Sapienza, solo per la consultazione di studiosi e ricercatori italiani e stranieri. Nelle sale del Museo, sono esposti due calchi perfettamente uguali agli originali con alle spalle un diorama che ricrea in modo verosimile le caratteristiche dell’ambiente in cui essi vissero.

Foto 1. Il diorama a La Sapienza di Roma

Per quello che riguarda le attività e lo stile di vita dei nostri Saccopastore ce li dobbiamo immaginare impegnati durante il giorno alla ricerca di cibo, tenendosi vicini ai vari corsi d’acqua della zona, e rifugiati di notte in qualcuna delle caverne disponibili, fiocamente illuminata da piccoli focolari su cui veniva arrostito il cibo. Cibo proveniente dalla caccia e dalla pesca, cui erano adibiti gli uomini del gruppo che utilizzavano a tale scopo alcuni primitivi manufatti in pietra, soprattutto ossidiana di origine vulcanica, e osso (quelli di legno data la deperibilità del materiale non sono stati ritrovati). Sono emersi dagli strati fossili sia strumenti su scheggia appuntita, ritoccati da ambo i lati, chiamati “amigdale” che venivano usati come una specie di ascia a mano per uccidere gli animali, sia una serie di punte più piccole dette “raschiatoi” che servivano a tagliare le carni e a lavorare le pelli.

Foto 2. Gli strumenti

Possiamo quindi immaginare il nostro giovane uomo rientrare nella caverna con una preda da dividere con tutti i membri del gruppo e consegnarla alla donna più anziana che avrebbe provveduto a prepararla per la cottura dividendola in pezzi per i vari commensali.

Compito delle donne era infatti la preparazione del cibo oltre alla raccolta di frutta e altri vegetali che rendevano più varia la dieta, all’accudimento dei piccoli, degli anziani, dei feriti.

Forse queste piccole comunità avevano già dei riti funebri, anche se non è certo che seppellissero i defunti, e qualche forma di religiosità sia pure molto primitiva.

La strada dell’evoluzione era ancora lunga e complessa ma ogni passo avanti è stato un progresso verso l’umanità attuale e in questo lungo cammino la presenza costante delle donne è stata fondamentale e determinante.

 

 

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Laureata in Scienze Naturali all’Università La Sapienza di Roma, dopo una lunga carriera come Assistente ordinaria di Antropologia presso la Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali della stessa Università, si dedica, una volta andata in pensione, alla letteratura giovanile, iscrivendosi all’Associazione Gruppo di Servizio per la Letteratura Giovanile e collaborando alla rivista del Gruppo con articoli su vari autori, autrici e recensioni di libri.