Sulle tracce della Resistenza in Valdinievole

La Valdinievole – in provincia di Pistoia, in Toscana – dopo l’8 settembre 1943 si trovò attraversata dalla Linea Gotica che dalla costa adriatica arrivava fino al confine con la Liguria, direttamente sul mare Tirreno. Vari nuclei partigiani si organizzarono, anche con il contributo di militari sbandati e della popolazione; in questo quadro la situazione, come in quasi tutta l’Italia centro-settentrionale, divenne sempre più difficile a causa della presenza delle truppe tedesche occupanti, aiutate dai fascisti locali. Sequestri di beni, vere e proprie ruberie di animali e provviste, lavoro coatto per gli uomini ritenuti abili, rastrella-menti, violenze di ogni genere divennero elementi della quotidianità, a cui si accompagna-vano i raid aerei degli Alleati che – quando colpivano – non distinguevano certo fra amici e nemici.

Molto si è detto, rievocato, narrato su questo periodo e soprattutto sul secondo terribile inverno, fra il 1944 e il 45, quando le forze erano ridotte al minimo e la fiducia vacillava, come magistralmente ha raccontato Beppe Fenoglio parlando della sua esperienza nelle Langhe. Il fatto di sangue più grave avvenuto in queste terre fu l’eccidio del Padule di Fucecchio – compreso fra le province di Pistoia e Firenze – nel territorio pianeggiante ai margini dell’area palustre, fra campi coltivati, canneti e boschi. Iniziamo da qui il nostro percorso per ricordare vicende e luoghi che ancora ci parlano dell’accaduto.

Non lontano da Montecatini Terme, a Ponte Buggianese, in cerca di tracce e personaggi, si può partire dalla piazza centrale dove sorge il santuario e percorrere la “ruga”; si arriva a un ampio spazio alberato dedicato agli eroici fratelli Banditori: Lenin Giulio (detto Leo), ferito nel ’44 in un bombardamento, morì presso Volterra, e Nicola (soprannominato Tarzan per la forza e la resistenza al freddo e alle fatiche) fu ucciso “in seguito a ferita prodotta da mitraglia” a Porretta Terme, a pochi giorni di distanza, mentre voleva arrivare fino a Berlino, nel cuore del Reich. 

Foto 1. Intitolazione ai fratelli Banditore

Anche il campo sportivo, situato accanto al fiume Pescia, è dedicato a loro fino dal 16 settembre 1945. Della loro vicenda si occupa un volume collettivo, edito nel 2005 dall’amministrazione comunale, e intitolato in modo significativo Non fermarsi al Ponte che ricostruisce la vita della famiglia da sempre antifascista, la passione politica, l’entusiasmo giovanile dei due fratelli. Nella piazza, su un piano rialzato, si ammira dal 1993 la monumentale opera in bronzo dell’artista pistoiese Jorio Vivarelli dal forte significato simbolico: “Parabola storica- via della Resistenza- l’ultima sfida”.     

Nei pressi del centro del paese si trova un’area verde con la piazza inaugurata nel 1990 e dedicata a Giovanni Magrini. Era un giovanissimo carabiniere di Ponte Buggianese – in servizio a Praticello, presso Gattatico, sull’Appennino Tosco-Emiliano – e fu protagonista il 9 settembre 1943 di uno dei primi atti della Resistenza. Senza direttive e ignorando l’armistizio e quanto stava accadendo nel resto d’Italia, si trovò a difendere con i commilitoni la caserma assaltata da soldati della Wehrmacht, che volevano prendere le armi e le munizioni; dopo aver respinto due bombe a mano e ferito i nemici, fu colpito in pieno al braccio sinistro da una raffica di mitra per cui rimase mutilato; nel 1952 gli fu conferita la medaglia d’argento al valore militare. Gli è stata dedicata anche la caserma dei Carabinieri di Montecatini.

Foto 2. Area verde dedicata a Giovanni Magrini

Da Ponte Buggianese, in circa due chilometri si raggiunge la frazione Anchione dove sorge un monumento in ricordo dell’eccidio, proprio davanti alla chiesa; poco dopo appare la Dogana del Capannone, importante edificio mediceo recentemente restaurato e aperto (saltuariamente) al pubblico. Ospita un piccolo Centro di documentazione sulla strage che si svolse nelle campagne intorno. Oggi in questa vasta area è bello passeggiare (o andare in bicicletta) lungo gli argini e i canali, osservando i tabacchifici abbandonati e le case ormai in disuso. Incontrando cippi, piccole edicole e la grande lapide sul tabacchificio del Pratogrande è impossibile non soffermarsi sulla strage nazifascista avvenuta il 23 agosto 1944, di cui pure tanti hanno scritto e su cui si continua a indagare.

Foto 3. Tabacchificio di Pratogrande

Le vittime – scelte casualmente in un territorio molto ampio – furono 176 (altre fonti parlano di 174 o di 175): fra di loro non c’erano partigiani/e, nessun militare, ma tante famiglie locali e altre sfollate fuggite dalle città bombardate, come Pisa, Livorno, Pontedera; 31 avevano oltre 55 anni, 22 ragazzi erano sotto i 15 anni, 3 sotto l’anno di età (fra cui le piccolissime Maria Malucchi di 4 mesi, Silvana Tognozzi e Rosa Maria Silvestri), 3 bambini di due anni e una donna invalida di 93: Maria Faustina Arinci, detta Carmela, a cui fu gettata una bomba nella tasca del grembiule. Questi sarebbero stati i pericolosi cospiratori!  Nessuna regione come la Toscana – è bene ricordarlo – ha dato un tale tributo di vittime civili: 4.461, sul totale di 9.980; e la provincia di Pistoia – in soli quattro mesi – ne ebbe 680.

Foto 4. Lapide di Pratogrande

Dalla parte opposta dell’area palustre, dopo Monsummano Terme, lungo la via Francesca, in direzione Fucecchio, si nota sulla destra il piccolo nucleo abitato di Castelmartini (Larciano); nella breve via di accesso spicca il candido monumento eretto alle vittime dell’eccidio dallo scultore Gino Terreni. All’interno del Centro Visite del Padule, poco distante, si possono osservare da vicino alcuni bozzetti preparatori realizzati in creta o gesso.

Foto 5. Bozzetto di Gino Terreni

Anche altrove in Valdinievole si trovano ricordi dell’eccidio sotto forma di lapidi, monumenti e intitolazioni stradali (vedi: Luoghi della memoria- Istituto Storico della Resistenza- Pistoia) riferite inoltre a partigiani locali e a personaggi storici: dai fratelli Cervi a Bruno Buozzi, da Giacomo Matteotti a Giovanni Amendola, che proprio in questa zona fu picchiato a morte, sulla via verso Pistoia, in località Colonna. Fra le tante merita di essere segnalata una intitolazione, avvenuta il 25 aprile 2016 a Pieve a Nievole, grazie ai contatti presi con l’Amministrazione  locale dalla associazione Toponomastica femminile; si tratta di: largo delle Partigiane, unica del genere nell’intera provincia. 

Foto 6. Largo delle Partigiane

Proseguendo la strada verso Fucecchio, andando nell’interno, ci si inoltra sulle belle colline ricoperte di ulivi e di vegetazione; se da Lamporecchio si procede verso Pistoia, si attraversa la località San Baronto; qui, lungo la via Montalbano, un breve tratto – iI 20 febbraio 2016 – è stato intitolato dal comune a Maria Assunta Pierattoni, vittima del nazifascismo e protagonista di una drammatica vicenda. Nata a Lamporecchio nel 1895, rimase vedova con tre figli; il grave disagio economico la portò a cercare ogni genere di lavoro, finché fu avvolta in una spirale di sospetti e di fraintendimenti che la condusse in carcere. Dopo la fuga, nuovi errori ed equivoci la riportarono in carcere fiduciosa che venisse dimostrata la sua estraneità ai fatti imputati. In seguito fu catturata dagli Alleati e accusata di essere una spia perché aveva con sé un salvacondotto firmato dal coman-dante repubblichino del carcere di Parma. Le sue tracce diventano sempre più labili e la sua fine non è chiara; si sa solo che morì in un giorno imprecisato del novembre 1944 in località Arni di Stazzema, proprio là dove il 12 agosto le SS avevano ucciso 560 persone.

Foto 7. Intitolazione a Maria Assunta Pierattoni

A proposito di vittime innocenti, ricordiamo fra le tante i tre giovani che trovarono la morte su una mulattiera a San Gennaro (presso Collodi) il 26 luglio 1944; una croce di ferro con una lapide alla base, situata nell’oliveto di Aldo Michelotti, ne tiene viva la memoria. Si tratta di due ragazzi di 19 anni (Aldo Giannoni e Livio Frateschi) e di una donna: Germana Giorgini. Era nata a Pescia il 19 settembre 1918, faceva la cartaia ed era diventata staffetta partigiana; fu fucilata lì vicino, in località “La Rovaggine”. Un masso, posto sulla via per San Gennaro nel 1997 a cura dell’Anpi di Pescia e del comune di Capannori, reca incisi i nomi dei caduti.  

Foto 8. Centro Polivalente dedicato ad Amina Nuget

Dopo tanto dolore e tanta violenza, concludiamo l’itinerario ideale con un messaggio di fiducia e di speranza. Venendo da Collodi, superata Pescia in direzione Montecatini, si entra nel comune di Uzzano; qui, in località S. Lucia, sulla sinistra una brevissima deviazione porta al Centro Polivalente dedicato ad Amina Nuget, uno dei tanti nomi di persone sconosciute ai più che però hanno contribuito con la loro oscura opera al bene dell’umanità. Amina e il marito Umberto Natali, infatti, durante la Seconda guerra mondiale nascosero e protessero tre sorelle ebree, salvandole dalla deportazione. Per questo sono stati nominati “Giusti fra le Nazioni” nel 2003.




Muri che urlano la storia

Quando nel 2015 con le colleghe dell’Osservatorio di Genere abbiamo iniziato a ragionare sul contest #leviedelledonnemarchigiane nessuna di noi poteva immaginare cosa si stava per mettere in moto. Tam tam, passaparola, vere e proprie cordate per votare questa donna o quell’altra e tra i nomi che via via si andavano aggregando, accompagnati dall’ormai indispensabile hashtag, spuntavano con sempre maggiore insistenza le partigiane, staffette o comandanti di brigata: donne antifasciste, protagoniste della Resistenza e della guerra di Liberazione che anche nelle Marche lottarono con coraggio e passione contro il nazi-fascismo. Lavorando al libro che da quel contest è nato (#leviedelledonnemarchigiane: non solo toponomastica, ODG Edizioni, 2017), abbiamo scoperto le vite che si celavano dietro quei nomi: abbiamo sentito il peso di battaglie portate avanti a testa alta, con la consapevolezza di essere dalla parte giusta, senza se e senza ma, nonostante tutto. Abbiamo percepito, a volte quasi condividendolo, il dolore di scelte difficili, di delusioni e di sconfitte davanti alle quali queste donne, che avevano percorso quasi incoscienti – l’incoscienza della gioventù e degli ideali – i sentieri impervi dei nostri Appennini nascondendo armi, ordini e messaggi in codice, seppero opporsi e resistere con la stessa forza con cui si erano opposte alle milizie in camicia nera.

A Macerata non c’è una targa murale che le ricordi espressamente eppure da quando le strade dell’OdG hanno incrociato Rosina, Leda, Radia, Egidia, Joyce, Adele, Derna, Walchiria, Ada e tutte le altre, la targa che campeggia sul Monumento dedicato Alla Resistenza nel maceratese(in copertina) ci appare inevitabilmente più ricca, più piena e più significativa. Questo muro che dal 1969 ha parlato a generazioni di maceratesi – e non – raccontando la storia dei 408 italiani, inglesi, jugoslavi, francesi, polacchi, somali e sudafricani che a Macerata caddero per la libertà. Questo muro ha parlato e continua a farlo di tutto ciò che c’è stato prima di quel fatidico 30 giugno 1944, quando finalmente Macerata venne liberata prima dai partigiani del gruppo Bande Nicolò che apposero la loro bandiera sul Monumento dei caduti – violato e deturpato dal neofascista responsabile della sparatoria del 3 febbraio 2018 che proprio lì si è consegnato ai poliziotti dopo aver ferito 6 persone inermi – e poi dai reparti dei paracadutisti della Nembo e dalle avanguardie del II° Corpo d’armata polacco. Questa è la storia, quella ufficiale declinata tutta al maschile, ma quel muro su cui campeggia la scritta Alla Resistenza nel maceratese   porta con sé e celebra anche la memoria di tutte quelle donne che lottarono e che contribuirono alla liberazione di Macerata e dell’Italia intera. Da quella targa emerge con forza anche la voce delle donne resistenti – il pensiero corre veloce ad esempio a Nunzia Cavarischia la “Stella Rossa” – che scrissero la nostra storia facendo una scelta giusta, la più difficile e dolorosa, ma giusta, non l’unica possibile certo (avrebbero potuto fare come molti, stare a casa aspettando che tutto finisse), ma la più giusta.

In foto. Nunzia Cavarischia, classe 1929. La foto campeggia sulla copertina del suo Ricordi di una staffetta, Capodarco fermano, 2011.

Scelsero di essere partigiane e lo furono nonostante tutto: “quella di Leda è la storia di una donna molto giovane ma capace di scelte determinate”; “Mimma Baldoni di nascosto porta dentro la caserma i vestiti per il travestimento… tutto pur di liberare qualcuno”; “Trascorre sette anni e mezzo tra il carcere femminile delle Mantellate di Roma e in quello di Perugia e poi due anni e mezzo al confino a Ventotene. Liberata nell’agosto del 1943, partecipa alla lotta di Liberazione a Roma”; “è portaordini del comando dei GAP di Pesaro. La sua completa dedizione alla causa resistenziale e le sue “doti non comuni” la fanno diventare un punto di riferimento per le formazioni partigiane”; “Noi eravamo piccoli ma non ci tiravamo mai indietro”; “sovversiva comunista pericolosa”; “fu perseguitata durante il fascismo”; “antifascista operaia e sindacalista”; “decide di entrare da protagonista nella Resistenza”; “Comandante partigiana del Gruppo Settebello, sottogruppo del Distaccamento Panichi del V battaglione della V Brigata Garibaldi Pesaro. Medaglia d’argento al valor militare”.

Buon 25 aprile!

 




BURKINA FASO – Con Beacon Waves, Bruna Montorsi, una donna con la musica nel cuore

Ogni radio ha i propri artisti, “Beacon waves” ha la fortuna di avere “Le cence allegre”. Bruna Montorsi è nata a Castelnuovo Rangone con la passione per il canto. Nel 2005,con la supervisione di Antonella Talamonti, ha fondato un gruppo femminile di canto sociale, il coro “Le cence allegre”. Bruna  è un’insegnante modenese in pensione dal 2015, che ha scelto di andare in Burkina Faso per dedicarsi ad alcuni progetti educativi, tra cui un progetto sperimentale di lettura e scrittura per bambini di prima e seconda elementare. Dialogano con lei le ragazze e i ragazzi della 3A AFM.

D – Cos’è per Lei la musica? Cosa l’ha portata a cantare? Da dove deriva la sua passione per la musica? Ha sempre sognato di fare la cantante? Da quanti anni canta? Per Lei cantare è un hobby o un lavoro?

R- Ho sempre cantato, sin da piccola, quando in colonia cercavano dei bambini per cantare al microfono. E in chiesa, imparando i canti a più voci da mia madre. Poi da adolescente in un gruppo beat, poi da adulta nel Collettivo Gianni Bosio, anni 70-80, dove facevamo riproposta di canti popolari. Qui ho conosciuto la ricerca etno-musicologica dell’Istituto Ernesto de Martino e molte delle figure che vi hanno preso parte, Giovanna Marini in testa. Dopo gli anni 90 mi sono dedicata alle musiche dei popoli, studiando i ritmi e i canti tradizionali della cultura africana, afro-cubana e afro-brasiliana. Non è mai stato un lavoro, sempre una passione.

D – Quanto tempo dedica alla sua passione? Coltiva altre passioni oltre alla musica?

R- Una sera alla settimana per le prove. Molte ore a domicilio per ricerca, ascolto e produzione di testi. Altre passioni? Molte… L’insegnamento, la montagna, l’arte, la letteratura, la cooperazione internazionale.

D – L’arte del canto la si ha dalla nascita o la si acquista con il tempo? Secondo Lei, qualsiasi persona può diventare cantante con allenamento?

R- Penso che esista una componente ereditaria (entrambi i miei genitori cantavano benissimo), ma è importante avere occasioni di esercitare questa competenza fin dalla prima infanzia. Necessario lo studio e l’allenamento, soprattutto per gli aspetti armonici.

D – Oggi è difficile diventare e svolgere il mestiere di cantante?

R- Non conosco gli ambienti del professionismo…

D – Perché si è interessata e ha aderito a “Beacon Waves”? Cosa si aspetta da questo progetto?

R –  Ho trovato interessante la scelta del canale radio per comunicare, soprattutto da parte di voi giovani, tempestati come siete dai mezzi multimediali. Amo la radio, molto più della TV.

D – Cosa sono le Cence?

R – Molto in sintesi: un gruppo di amiche che condividono anche la passione per il canto popolare, e cercano di trasmetterne forme e contenuti.

D – Cosa trasmettono a Lei i canti femminili?

R- Forza, ribellione, resilienza, opposizione al potere.

D – Chi è il suo cantautore preferito?

R – Fabrizio de André

D – Perché ha deciso di entrare in un gruppo?  Come è nato questo gruppo musicale? Quando?

R- Ho fondato questo gruppo nel 2005, quando stava scemando l’energia di Ritmondo, il gruppo di riproposta delle musiche dei popoli.

D – Chi compone le musiche e chi scrive le parole?

R- Il nostro repertorio è prevalentemente di riproposta di canti di tradizione orale. Per i canti di nostra produzione utilizziamo esclusivamente musiche già facenti parte del repertorio di tradizione orale, spesso moduli da cantastorie. Molti testi sono miei, ma c’è sempre il contributo del gruppo. Il senso di questa operazione è quello di riattualizzare forme espressive del passato per raccontare il presente.

D – E’ difficile lavorare insieme? Quanto vi esercitate? Dove vi esibite?

R- E’ difficile, sì, ma a volte anche molto divertente, è un modo per stare insieme, condividendo idee e valori. Ci esibiamo in diverse rassegne un po’ di “nicchia”, spesso fuori Modena, ma capita anche che ci chiamino a cantare in piazza o in piccoli teatri in occasioni dedicate alle donne e alla loro storia. Anche in occasione del 25 aprile ci chiamano spesso a cantare…

D – Le sue canzoni sono tutte di protesta? A chi sono rivolte?

R- No, sono espressione dei sentimenti del popolo, quindi anche di festa, d’amore…

D – Qual è il motivo per il quale avete scelto dei temi forti come l’emigrazione, la Resistenza?

R- Il tema della Resistenza ci è molto caro, tante persone che hanno dato la loro vita per la nostra libertà ci continuano a commuovere… E il tema dell’emigrazione, la lotta per il riconoscimento della dignità di persone che hanno il solo torto di essere nate (non certo per scelta) nella parte più sfortunata del mondo, è ancora una lotta di resistenza.

D – Da chi è stata trasmessa la maggior parte di questi canti?

R- Alcuni canti del repertorio contadino locale ci sono stati trasmessi in famiglia, dalle nostre nonne; la maggior parte dei canti del nostro repertorio sono frutto di ricerche etno-musicologiche.

D – In che scuola ha studiato? In quale ramo si è specializzata?

R- Ho studiato pedagogia, sono specializzata alla scuola ortofrenica (per l’insegnamento agli alunni handicappati) e diplomata in counsellor scolastico. Ho conseguito un attestato per la didattica della musica e ho fatto parte per 20 anni della SIEM (società italiana educazione musicale)

D – Perché ha scelto di far studiare questi canti ai ragazzi?

R- Credo che lo studio della storia non possa prescindere dalla visione delle classi subalterne, che non trovano mai spazio nei libri di storia.

D – Qual è il suo rapporto con i giovani? Cosa vorrebbe trasmettere loro? Che emozioni vuole suscitare nei giovani attraverso il suo coro?

R- Ho un bellissimo rapporto coi giovani, che frequento soprattutto all’interno delle attività di cooperazione internazionale. Attraverso l’attività del coro cerchiamo di trasmettere alcuni valori di democrazia e giustizia sociale, con un linguaggio rivisitato ma portatore di canoni estetici delle culture subalterne.

D – Quale linguaggio bisognerebbe utilizzare per rivolgersi al meglio alle nuove generazioni?

R- Si dovrebbe trovare un linguaggio che, pur rispettando gli stilemi tipici del canto di tradizione orale, riuscisse ad arrivare ai giovani. Ma le operazioni di contaminazione tra stili e generi è assai complicata, e spesso detrae forza anziché aggiungere. Inoltre, purtroppo, l’elemento ritmico tipico delle culture del sud (es. pizzica, tarantella…), è praticamente assente nella musica di tradizione orale del nord-Italia. Questo rende difficile arrivare alle nuove generazioni. Su questo nodo stiamo molto riflettendo e studiando, con l’aiuto di esperti in materia.

D – Cosa pensa della musica odierna?

R- Dopo il Rock anni 70-80, ivi compreso il combat-rock, non ci sono stati a mio avviso grandi novità interessanti… Molto interessante il lavoro della Real World coordinato da Peter Gabriel.

D – Preferisce la musica di oggi o quella di un tempo? Quali differenze nota? Come immagina la musica del futuro?

R- Mi interessano le forme musicali più autentiche, anche se di nicchia, in particolare mi interessa molto la musica etnica di ogni parte del mondo. La musica del futuro? Purtroppo prevarranno i generi più consumistici, ma credo sia in atto una nuova epoca di riscoperta di linguaggi, lontani nel tempo e nello spazio.

D – Ascolta spesso la radio?

R- Sempre, in Italia sono perennemente sintonizzata su RAI Radio 3. Ma anche qui in Burkina (dove vivo 6 mesi all’anno) ho una radiolina che ascolto, quando c’è sintonia…

D – Quali generi musicali vorrebbe ascoltare dalla nostra radio?

R- Musica d’autore, musica contemporanea (Nono, Berio, Ligeti…), musica etnica, musica sperimentale

D – Suona qualche strumento?

R- Strimpello chitarra e flauto, a scopo didattico. Ho studiato molti anni le percussioni del mondo, in particolare Africa, Cuba, Brasile.

D – Ha mai vinto dei premi per la sua musica?

R- No!

D – Perché ha scritto sull’eccidio di Modena? Perché sono usate musiche e strutture di canti popolari? Perché ha deciso di scrivere alcune canzoni in dialetto modenese?

R- Le canzoni in dialetto modenese sono tutte di tradizione orale. Ho scritto l’eccidio di Modena per raccontare un fatto perlopiù sconosciuto, su una vicenda che ancora oggi presenta molte ombre. Ho utilizzato un modulo da cantastorie, molto adatto alla narrazione di fatti precisi.

D – Qual è la traduzione della canzone intitolata Mariuleina?

R- Si tratta di un canto un po’malizioso che parla di relazioni amorose…

D – Avete mai scritto e poi cantato canzoni in lingua straniera?

R- No, ma abbiamo alcuni canti di lotta internazionali nel nostro repertorio, in lingue diverse.

D – Per lei la musica internazionale è più bella di quella italiana?

R- Se parliamo di musica leggera ammetto la mia esterofilia…

D – Cosa è per Lei la questione femminile?

R- E’ la storia di una consapevolezza raggiunta con sofferenza e fatica, pagata con prezzi altissimi. Il fenomeno del femminicidio è uno di questi prezzi. E’ una storia da conoscere e da ripensare, possibilmente assieme al genere maschile. Se la discriminazione di genere non conosce latitudine né longitudine, c’è molto, molto da fare…

D – Quanti album ha inciso? Dietro le canzoni c’è sempre una realtà o sono il frutto della vostra fantasia? Si ispira a un cantante?

R- Veramente abbiamo inciso un solo album, che però non abbiamo mai prodotto, per varie ragioni. Le canzoni che scriviamo sono sempre racconti di storie vere e parlano di problemi attuali. La mia maestra (e amica), che mi ha insegnato molto sul canto popolare, la riproposta e la rifunzionalizzazione, è Giovanna Marini.

D – Qual è stata la canzone che ha avuto più successo?  Qual è la canzone a cui è più legata?

R- Tra quelle che ho scritto sono molto legata a “Il tragico naufragio del 18 aprile 2015”

D – Che messaggio vuole tramandare alle persone che ascoltano le sue canzoni?

R- Tento di raccontare la storia delle classi subalterne. Tento di ricreare un collegamento con le nostre radici attraverso la memoria. E di parlare dei temi più attuali che mi stanno a cuore, utilizzando un linguaggio musicale che rivisita ma rispetta gli stilemi del canto di tradizione orale.

D – Quale sarà la sua prossima tappa? E quando?

R- Per ora si continua a studiare. A febbraio avremo uno stage sul cantastorie, proprio sul tema delle donne, nella storia e nell’attualità.




ITALIA – Terni, il mondo delle donne e le memorie operaie femminili

Di Manila Cruciani

Ticchetettà

Semo de Cinturini lasciatece passa’

semo belle e simbatiche ce famo rispetta’

matina e sera, ticchetettà,

infinu a sabadu ce tocca d’abbozza’

 

(Cinturini, canzone delle operaie tessitrici della fabbrica di iuta impiantata a Terni, alla fine del 1800, dall’ingegnere Centurini)

 

Nel Villaggio Matteotti della città di Terni, può accadere che i passi rimbalzino nel ritornello di una canzone sociale: l’insediamento semirurale (realizzato dalla Società Terni fra il 1938 e il 1946) e le cellule abitative avanguardiste del nuovo agglomerato (progettato nel 1970) restituiscono nomi di donna alla memoria democratica e alla classe cultrice e lavoratrice della storia locale.

In questi nomi c’è l’intuizione del nesso, (ri)generativo e variabile, di tante piccole comunità di destino all’interno della grande comunità di destino planetaria, e l’allusione ad una madre terra e ad una lingua madre, che le riconosce e le comprende tutte.

 

Oggi le finestre della città operaia si spalancano sulle storie delle persone nuove che la abitano, la cambiano e, perciò, la rinnovano, in una metaprospettiva, foriera di metaidentità.

 Qui, nel 2012, è nato il circolo Il mondo delle donne, frutto di una progettualità condivisa tra la biblioteca comunale e il sistema museale di Terni, che raccoglie il sapere narrativo delle donne, italiane e migranti. Un sapere che è anche resistenza – alla omologazione, alla assimilazione, alla dispersione di una oralità diffusa – e costruzione di una quotidiana interculturalità.

Da qualche mese, il circolo ha iniziato i lavori per redigere una guida di Terni al femminile attraverso un percorso di partecipazione: la pubblicazione prevede itinerari storico-culturali di genere, indicazioni sui servizi, schede di approfondimento della lingua italiana. Una proposta non convenzionale, a volte sorprendente, dedicata a chi arriva, a chi resta e alle “turiste” e ai “turisti” che giocano in casa!


 1.Terni_Lungonera Savoia_ManilaCruciani.ridotta

Foto 1 (Manila Cruciani)

Terni _ Lungonera Savoia, particolare di figura femminile

Quando si è con le sorelle, non c’è posto per la disperazione.

Un detto in Nu Shu, il linguaggio segreto delle donne nell’antica Cina.

 2.Terni.CarlottaClerici.MassimoDAntonio.ridotta

Foto 2 (Massimo D’Antonio)

Carlotta Clerici (1850 – Roma 1924), educatrice, femminista, sindacalista e socialista. Insegnante e direttrice scolastica si impegna per l’educazione, la formazione professionale dei giovani e per l’assistenza agli orfani. Nel 1912, insieme a Argentina Altobelli, entra a far parte del Consiglio del Lavoro presso il Ministero.

 3.Terni.GisaGiani.MassimoDAntonio

Foto 3 (Massimo D’Antonio)

Gisa Giani (Collestatte [Terni] 1924 – Terni 1986), Adalgisa Cervelli, nota come Gisa Giani (il cognome è del marito), impiegata e ricercatrice presso la Biblioteca civica di Terni, è stata particolarmente attenta alla storia della città e delle donne, cui ha contributo, tra l’altro, con le pubblicazioni: Raccolta di voci bibliografiche su Terni e Territorio; Un enigma storico-archeologico: le tombe dei Tacito a Terni; Qualcosa che non sapevamo sulla Cascata delle Marmore; Terni. Cento anni di acciaio. Bibliografia dell’industrializzazione; e Donne e vita di fabbrica a Terni, che descrive il lavoro femminile nelle fabbriche tessili ternane.

 4.Terni.LindaMalnati.MassimoDAntonio

Foto 4 (Massimo D’Antonio)

Linda Malnati (Milano 1855 – Blevio [Como] 1921), socialista, nel 1906 promosse la costituzione del Comitato Nazionale per il suffragio femminile.

 5.Terni.VirginiaVisetti.MassimoDAntonio

Foto 5 (Massimo D’Antonio)

Virginia Visetti (1919 – 1944), partigiana, la denominazione è stata attribuita con la seguente motivazione: “Eroina della Resistenza, con il grado di sottotenente della formazione Gran Dubbiere di Pinerolo; aiuta il padre, rappresentante della Democrazia Cristiana nel Comitato di Liberazione Nazionale di Torino, nello svolgimento di azioni di collegamento e nell’occultamento di armi e munizioni. Catturata in seguito a un rastrellamento, viene fucilata dai fascisti”.

 6.Terni.Patrizi_scrittrice_Ercolini.ridotta

Foto 6 (Maria Pia Ercolini)

Maddalena Patrizi (1866 – 1945), scrittrice, fondatrice dell’Opera Nazionale di Patronato e Mutuo Soccorso per giovani operaie e presidente dell’Unione Donne Cattoliche.

 7.Terni.SaraTabarrini.MassimoDAntonio

Foto 7 (Massimo D’Antonio)

Sara Tabarrini (Montefranco 1880 – Terni 1961), operaia dello Jutificio Centurini, è stata una capolega, licenziata per aver promosso uno sciopero nel 1901. Scongiurò le sue compagne di rinunciare a qualsiasi forma di solidarietà nei suoi confronti e, lasciata Terni, si trasferì a Montefalco, dove si adoperò per l’alfabetizzazione dei ragazzi di campagna.

 8.Terni.AnnamariaMozzoni.MassimoDAntonio.ridotta

Foto 8 (Massimo D’Antonio)

Anna Maria Mozzoni (Rescaldina [Mi] 1837 – Roma 1920), femminista, fonda la Lega promotrice degli interessi femminili, si batte per il voto alle donne, per la parità tra i sessi e per il diritto allo studio.

 9.Terni.IrmaBandiera.MassimoDAntonio.ridotta

Foto 9 (Massimo D’Antonio)

Irma Bandiera (Bologna 1915 – Bologna 1944), partigiana, eroina della Resistenza, insignita della medaglia d’oro al Valor Militare. Catturata durante uno scontro armato, è sottoposta a feroci torture e trucidata dalle SS naziste.

 10.Terni.ArgentinaAltobelli.MassimoDAntonio.ridotta

Foto 10 (Massimo D’Antonio)

Argentina Altobelli (Imola 1866 – Roma 1942), il suo impegno è rivolto alla promozione sociale delle donne. Alcuni suoi scritti sono stati pubblicati sulla testata socialista ternana “La Turbina”: in questi articoli rivendica la parità tra uomini e donne sui temi del salario, dell’orario di lavoro e del diritto di voto. Nel 1912, insieme alla sindacalista Carlotta Clerici, entra a far parte del Consiglio del Lavoro, istituito presso il Ministero.

 11.Terni_Zetkin-mpE.ridotta

Foto 11 (Maria Pia Ercolini)

Clara Zetkin (Wiederau [Germania] 1857 – Archangel’skoe [Russia], 1933), rivoluzionaria tedesca, comunista e teorica dell’emancipazione femminile.

 12.Terni.Kuliscioff.ridotta_MpE

Foto 12 (Maria Pia Ercolini)

Anna Kuliscioff (Moskaja, Cherson [Russia] 1857 – Milano 1925), si laurea in medicina per curare gratuitamente i poveri, compagna di Filippo Turati, nel 1891 fondano insieme “Critica sociale”, la prima rivista critica del socialismo marxista italiano.

 13.Terni.SibillaAleramo.Ercolini.ridotta

Foto 13 (Maria Pia Ercolini)

Sibilla Aleramo (Alessandria 1876 – Roma 1960), pseudonimo di Marta Felicino Faccio detta Rina, femminista e scrittrice.

 

 




ITALIA – Due passi per Modena e per le strade femminili che non ci sono (Parte seconda)

Di Roberta Pinelli

A partire dagli anni Sessanta qualcosa cambia a Modena nei criteri adottati per le scelte odonomastiche e sarà forse per la nomina di una donna nella Commissione Toponomastica che nel 1961 furono dedicati a donne ben cinque toponimi: due letterate (Grazia Deledda e Ada Negri), una musicista (Cecilia Paini), una partigiana (Gabriella Degli Esposti), una donna di potere (Matilde di Canossa).

1.Modena-Via Ada Negri-foto di Roberta Pinelli

2. Modena-Via Grazia Deledda-foto di Roberta Pinelli

Figlia di Giovanni, suonatore di corno da caccia, Cecilia Paini ancora in tenera età seguì il padre che per lavoro si era trasferito a Parigi. Qui studiò al Conservatorio di musica dove, precocissima, conseguì il I premio in arpa e solfeggio. A 11 anni dette alcuni concerti in Francia e venne considerata una bambina prodigio. Con un decreto del 23 marzo 1843 la duchessa di Parma la nominò arpista della Ducale Orchestra. Fu al servizio del Ducato di Parma fino al 1859, poi rimase al Teatro Regio di Parma fino al 1875. Nel 1876 si trasferì a Modena, dove aveva sposato un certo Eugenio Zoboli, da cui ebbe due figli. Dedicatasi all’insegnamento, fu sempre attorniata da grande ammirazione. Morì a Modena nel 1922.

3.Modena-Via Cecilia Paini-foto di Roberta Pinelli

Gabriella Degli Esposti con il nome di battaglia di Balella partecipò fin dall’inizio alle attività della Resistenza nel modenese, prodigandosi anche per la formazione dei primi Gruppi di Difesa della Donna, nonostante fosse madre di due bambine e incinta del terzo figlio. Coordinatrice della IV Zona partigiana, fu arrestata dalle SS il 13 dicembre 1944 durante un rastrellamento, rifiutò di parlare e fu giustiziata insieme ad altri 9 compagni di prigionia. Prima della fucilazione fu brutalmente torturata. In suo onore fu chiamato “Gabriella Degli Esposti” l’unico distaccamento partigiano formato esclusivamente da donne. Le è stata assegnata la Medaglia d’Oro al Valor Militare.

4.Modena-Via Gabriella Degli Esposti-foto di Roberta Pinelli

Passarono altri 10 anni prima che comparissero nuove targhe dedicate alle donne; nel 1971 furono intitolate due strade a Gaetana Agnesi e Marie Curie, precedute nel 1966 da una partigiana (Irma Marchiani) e da due dee dell’antichità, Cerere e Igea, e nel 1969 da una straordinaria figura di benefattrice, Marianna Saltini.

5.Modena-Via Gaetana Agnesi-foto di Roberta Pinelli

6.Modena-Via Marie Curie-foto di Roberta Pinelli

7.Modena-Via Irma Marchiani-foto di Roberta Pinelli

8.Modena-Via Marianna Saltini-foto di Roberta Pinelli

Nata a Carpi nel 1889, a 21 anni Marianna Saltini sposò il sarto Arturo Testi, ma rimase vedova a 39 anni con 6 figli. Decise di affidare alcuni dei figli ai parenti e di mandare i più grandi in collegio, per potersi dedicare ad allevare le figlie dei poveri. Da quel momento fu per tutti “Mamma Nina”, da qualcuno definita anche “la matta che aveva abbandonato i figli suoi per quelli degli altri”. Solo nel marzo del 1936 il vescovo approvò, e solo provvisoriamente, la sua opera e il Comune di Carpi le concesse in uso il Palazzo Benassi. Sorella di don Zeno Saltini, fondatore di Nomadelfia, Mamma Nina allevò e continuò ad occuparsi di migliaia di bambine povere, insegnando loro un mestiere e togliendole dalla miseria e dai rischi della strada. Fondata a Carpi, ma con sedi in molti comuni della provincia di Modena, ancora oggi l’istituzione benefica da lei creata è attiva e ha mantenuto il nome di “Casa della Divina Provvidenza”.

Nel 1985 fu aperto il processo di beatificazione che nel 1988 dichiarò Mamma Nina “serva di Dio”.

Nel 1982 una parte dell’anello della tangenziale che circonda Modena è stato intitolato al Premio Nobel per la Letteratura Gabriela Mistral, mentre nel 1986 una stradina periferica viene dedicata a una vittima di femminicidio, novella Maria Goretti modenese: Maria Regina Pedena.

 9.Modena-Tangenziale Gabriela Mistral-foto di Roberta Pinelli

10.Modena-Via M.Regina Pedena-foto di Roberta Pinelli

Il 19 luglio 1827, attirata con l’inganno in casa di Eleuterio Malagoli, liutaio, invaghitosi di lei, resistette ai suoi approcci. Infuriato per la resistenza della ragazzina (Regina aveva solo 14 anni), Eleuterio Malagoli l’accoltellò più volte. All’arrivo della polizia Maria Regina Pedena era già morta e il Malagoli tentò il suicidio.

Il 24 luglio 1827 si tennero i solenni funerali della ragazza, cui fece seguito una sorta di devozione, che però svanì ben presto, consentendo che i suoi resti fossero inumati in una fossa comune. Nel 1973, a cura di un comitato promotore del processo di beatificazione, i resti di M.Regina Pèdena furono traslati nel Santuario della Madonna del Murazzo di Modena, dove sono tuttora conservati.

Nel 1990 ecco la targa e la scuola media intitolate a Luisa Guidotti Mistrali.

11.Modena-Via Luisa Guidotti Mistrali-foto di Roberta Pinelli

Luisa Guidotti Mistrali nacque a Parma nel 1932 e nel 1947 si trasferì definitivamente a Modena. Dopo la maturità scientifica, si iscrisse alla Facoltà di Medicina dell’Università di Modena, dove si laureò nel 1960, acquisendo poi nel 1962 la specializzazione in Radiologia.

Entrata nell’Associazione Femminile Medico-Missionaria da laica, dopo un periodo di tirocinio religioso fra Modena e Roma, nel 1966 venne destinata alle missioni nella Rhodesia (l’attuale Zimbabwe). Nel 1969 fu assegnata definitivamente all’ospedale “All Souls” di Mutoko nella provincia del Mashonaland Orientale.

A Mutoko in realtà l’ospedale consisteva in alcune capanne di paglia e fango che in pochi anni, sollecitando la generosità degli amici italiani, Luisa riuscì a trasformare in edifici in muratura, aprendo anche una scuola per infermiere e un orfanatrofio. Già nel 1971 l’ospedale era in grado di accogliere annualmente oltre 5.000 ammalati e contava più di 400 nascite all’anno.

Oltre al lavoro nell’ospedale, si recava periodicamente al lebbrosario di Mutema, dove i pazienti erano pressoché abbandonati, e nei villaggi vicini per assisterne i malati.

Nel 1976 venne arrestata dalla polizia con l’accusa di aver curato un ragazzo, presunto guerrigliero, rischiando la condanna a morte per impiccagione. Rilasciata dopo quattro giorni, fu tenuta per due mesi in libertà provvisoria vicino a Salisbury. Venne poi assolta per le forti pressioni esercitate dalla Santa Sede e dal governo italiano. La situazione a seguito della guerra divenne sempre più pericolosa e molti missionari furono costretti ad andarsene dalla Rhodesia. Luisa Guidotti subì delle minacce, ma non volle abbandonare l’ospedale e vi rimase, unica occidentale, insieme alle infermiere africane. Il 6 luglio 1979 con l’ambulanza dovette accompagnare una partoriente a rischio all’ospedale di Nyadiri. Sulla via del ritorno venne fermata ad un posto di blocco dall’esercito governativo. All’improvviso, partirono due raffiche di mitra da entrambi i lati della strada e un proiettile colpì la dottoressa, recidendole l’arteria femorale e provocandone la morte per dissanguamento. Aveva da poco compiuto 47 anni.

Nel 1983 le fu intitolato l’ospedale “All Souls” di Mutoko. Nel 1988 il vescovo di Modena fece traslare i suoi resti nel Duomo e dal 2006 è aperta la causa di canonizzazione.

Nel 1996 ecco un’altra musicista, la soprano modenese Teresina Burchi, e nel 1998 Madre Teresa di Calcutta ed Elsa Morante.

Nel 2011 quattro furono le targhe modenesi dedicate alle donne: Natalia Ginzburg, Sibilla Aleramo, Gina Borellini e Fausta Massolo.

12.Modena-Via Natalia Ginzburg-foto di Roberta Pinelli

13.Modena-Via Sibilla Aleramo-foto di Roberta Pinelli

14.Modena-Via Gina Borellini-foto di Roberta Pinelli

Gina Borellini nacque a San Possidonio, da una famiglia di agricoltori, nel 1924. Si sposò a soli 16 anni con Antichiano Martini, di professione falegname. Insieme al marito, dopo l’8 settembre 1943, partecipò attivamente alla Resistenza come staffetta partigiana e soccorrendo militari sbandati. Nel 1944 furono entrambi catturati, arrestati e torturati. Dopo la fucilazione del marito entrò nella Brigata “Remo”. Il 12 aprile 1945, a seguito di uno scontro a fuoco con i fascisti, venne ferita e perse una gamba.

Nel 1946 fu eletta al consiglio comunale di Concordia e due anni dopo entrò in Parlamento nelle file del Partito Comunista Italiano. Fu Deputata della Repubblica nella I, II e III legislatura e fece parte della Commissione Difesa della Camera.

Fu tra le fondatrici dell’Unione Donne Italiane, presidente dell’UDI di Modena per molti anni e presidente della sezione di Modena dell’Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi di Guerra dal 1960 al 1990.

È stata insignita del titolo di Commendatore della Repubblica e della medaglia d’Oro al Valor Militare. È morta a Modena nel 2007.

15.Modena-Via Fausta Massolo- foto di Roberta Pinelli

Fausta Massolo nacque ad Arquata Scrivia (AL) nel 1935. Dopo gli studi in Medicina, nel 1966 si trasferì a Modena, dove sarebbe rimasta poi per tutta la vita. Diventata Primaria di Pediatria, nel 1984 fu nominata Direttrice della nuova Divisione di Oncoematologia Pediatrica del Policlinico di Modena, da lei fortemente voluta e che avrebbe diretto fino al 1999.

Pioniera non solo nelle cure mediche (fu uno dei primo oncologi pediatrici a sperimentare cure allora pionieristiche), Fausta Massolo sostenne e incoraggiò anche la presenza in ospedale di diverse figure professionali: maestre, insegnanti, psicologi/ghe, che fornissero al bambino ricoverato una accoglienza completa.

Scomparve prematuramente il 7 settembre 1999, amata e rimpianta dai collaboratori, dai pazienti e dalle loro famiglie. Nel maggio 2014, un accordo fra Comune e Provincia di Modena, Associazione Famiglie Malati di Oncoematologia Pediatrica, Policlinico e Azienda Casa Emilia Romagna ha dato il via alla costruzione di una “casa lontano da casa”, una palazzina di 15 appartamenti da destinare ai bambini che necessitano di lunghi periodi di cura e alle loro famiglie: “La casa di Fausta”.

Nel 2013 sono state quattro le targhe femminili aggiunte: Santa Liberata, le tabacchine, dette alla modenese Paltadori, Gaspara Stampa e la partigiana Caterina Zambelli.

16.Modena - Via Caterina Zambelli - foto di Roberta Pinelli

La famiglia Zambelli di Bomporto (MO) partecipò attivamente alla lotta partigiana, nel rifiuto delle requisizioni, nella raccolta di armi e viveri, nelle azioni di disarmo, sabotaggio, distruzione di armi nemiche: il padre Angelo fu partigiano della Brigata Tabacchi, i figli combattenti, le figlie staffette o fiancheggiatrici del movimento della Resistenza. Sette dei tredici membri della famiglia furono uccisi in ritorsioni nemiche: il capofamiglia Angelo, con il genero Bozzali Quinto e il nipote Pellacani Fabio, fu arrestato e fucilato a Navicello di Modena il 9 marzo 1945. Caterina Bavieri Zambelli, moglie di Angelo, che aveva 60 anni, fu arrestata a metà febbraio 1945, condotta all’Accademia Militare e torturata; fu poi liberata, ma assassinata il 27 marzo 1945 insieme alla figlia Iride. Il figlio Floriano fu ucciso in una rappresaglia con altri partigiani nella notte tra il 18 e il 19 marzo 1945; l’altro figlio Renato arrestato durante il rastrellamento del 17 febbraio, morì sotto le torture nemiche.

 Nel luglio del 2015 è stata infine approvata l’intitolazione di una stradina a Margherita Hack, mentre ancora non si è arrivati a ricordare con un toponimo Rita Levi Montalcini, richiesta presentata fin dal 2013.

Per le vie di Modena si può dunque fare un viaggio nel tempo e nella mentalità che ha contribuito a modificare l’immaginario femminile.

Si può anche scoprire come pure la progredita Modena, dove la presenza e la partecipazione delle donne alla vita pubblica è sempre stata ragguardevole, non si differenzi per niente dalle realtà più restie a dare spazio alla memoria delle donne, nemmeno di coloro che hanno avuto un ruolo nella storia della città.




ITALIA – La Liberazione taciuta

Negli anni del secondo conflitto mondiale le italiane hanno messo in gioco le loro vite e capovolto un sistema di valori: chiamate a far fronte alle assenze maschili nelle attività quotidiane private e pubbliche, sono uscite di casa spalancando le porte al futuro.

Occupate nei campi e nelle fabbriche, impegnate nel reperimento di generi alimentari, operose nelle azioni di soccorso e cura, non hanno esitato a impugnare le armi.

Protagoniste della Resistenza, e non solo comparse, non portavano divise, né enfatizzavano le loro azioni, ma sostenevano combattenti, feriti, prigionieri, in una sorta di “maternage di massa”. Nelle loro mani era il mercato nero e buona parte della gestione economica e materiale della vita partigiana: procuravano il denaro e distribuivano armi, vestiti, cibo o medicine.

Cresceva nel contempo la loro politicizzazione personale e collettiva, espressa attraverso agitazioni in fabbrica, adesione a gruppi organizzati e partiti, diffusione clandestina e infine produzione autonoma di stampa (nel luglio del’44, Napoli liberata pubblica il primo numero legale di Noi donne).

Le partigiane combattenti furono 35 mila, e 70 mila fecero parte dei Gruppi di difesa della donna: 4.653 furono arrestate e torturate, 2.750 vennero deportate in Germania, 2.812 fucilate o impiccate; 1.070 caddero in combattimento.

Nel dopoguerra, l’impostazione maschilista della società, sostanzialmente immutata rispetto al modello precedente, non ha dato loro il giusto riconoscimento.

Nel tentativo di richiudere le porte aperte e soffocare il cambiamento, gli uomini hanno voluto intendere la partecipazione femminile alla Resistenza come manifestazione di senso materno e di pacifismo innato: nell’immaginario collettivo, anche la staffetta andava ricondotta al ruolo di infermiera. Escluse dalle sfilate della vittoria, invitate a rimuovere e a tacere, molte piccole e grandi protagoniste della storia smisero di raccontare.

Alla loro memoria dedichiamo il fotoreportage del 25 aprile.

1.Milano.Donne_partigiane.NadiaBoaretto copia 2

Milano

PIAZZALE DONNE PARTIGIANE

Foto di Nadia Boaretto

2.Roma_Versari.SaraCaponera

Roma

VIA IRIS VERSARI (1922–1944)

Foto di Sara Caponera

Staffetta della formazione partigiana di Tredozio, fece parte della banda di Silvio Corbari al quale era legata sentimentalmente. Diverse e clamorose furono le azioni condotte assieme ai compagni. Ferita durante uno scontro coi tedeschi, decise di uccidersi piuttosto che cadere in mani nemiche. E’ stata insignita della Medaglia d’Oro al V.M.

 OLYMPUS DIGITAL CAMERA

Garlasco

VIA GISELLA FLOREANINI (1906-1993)

Foto di Roberta Martinotti

Legata già dagli anni ’30 ai gruppi di Giustizia e Libertà e al PCI divenne, grazie alle sue doti organizzative, un punto di riferimento per la Val d’Ossola. Nel febbraio 1945 fu nominata Presidente del CLN provinciale e trattò la resa dei nazifascisti nei giorni dell’insurrezione. Dopo la guerra fu parlamentare, dirigente dell’UDI e dell’Anpi e membro della Federazione Internazionale della Donna.

4.AOSTA_Vuillerminaz_MarinellaGovernale.settembre2012CA copia

Aosta

VIALE AURORA VUILLERMINAZ (1922-1944)

Foto di Marinella Govenale

Aurora Vuillerminaz dal luglio 1944 si dedicò interamente alla lotta partigiana entrando nella banda A. Verraz, operante nella valle di Cogne. Assunse l’incarico di staffetta creando collegamenti tra la Val d’Aosta e la vicina Svizzera. Al ritorno da una missione fu arrestata e, non avendo rivelato alcuna informazione, affrontò con coraggio la fucilazione.

 5.Trento_ClorindaMenguzzato_LiviaStefan

Trento

VIA CLORINDA MENGUZZATO “VEGLIA” (1927 – 1945)

foto di Livia Stefan

Infermiera e staffetta partigiana militò, con il nome di battaglia Garibaldina prima e Veglia poi, nel battaglione Gherlenda operante nel Trentino; fu catturata dai nazisti, violentata, fatta azzannare da cani feroci e fucilata. E’ stata insignita della Medaglia d’oro al Valor Militare alla memoria.

 6.Olbia_Lussu_EnricoGrixoni copia

Olbia

VIA JOYCE LUSSU (1912-1988)

Foto di Enrico Grixoni

La famiglia fuggì all’estero nel 1924 a causa delle violenze squadriste subite. Nel 1932 il fratello fu arrestato: Joyce iniziò a diffondere stampa antifascista e accettò diverse missioni clandestine. Una di queste la portò a conoscere il marito Emilio. Nel dopoguerra si legò alla militanza di base in Sardegna, promosse l’UDI, militò nel PSI e tradusse poesie terzomondiste.

 7. Ragusa_MariaOcchipinti_RosaPerupato

Ragusa

ROTONDA MARIA OCCHIPINTI (1921-1996)

Foto di Rosa Perupato

A Ragusa, nel gennaio del 1945, Maria, 23 anni e incinta di cinque mesi, si stende davanti un camion militare carico di giovani rastrellati da un quartiere popolare, con l’intento di agevolarne la fuga e la diserzione. Viene condannata al confino e al carcere. Finita la guerra viaggerà all’estero stabilendosi infine a Roma, avvicinandosi prima al PCI e poi agli anarchici.

 8.GENOVA via tea benedetti rossella sommariva  IMG_2569

Genova

VIA TEA BENEDETTI (1930-2000)

Foto di Rossella Sommariva

Proveniente da una famiglia operaia di Rivarolo, divenne staffetta partigiana molto giovane. Dopo la guerra fu sindacalista, assessora in Comune, presidente della Croce Verde di Sestri, inoltre fece parte del Consiglio Comunale di Genova per 21 anni (dal 1976 al 1997), distinguendosi per il suo spirito di servizio.

9.TriesteViaRitaRosaniLucioPerinisett2012CA

Trieste

VIA RITA ROSANI (1920- 1944)

Foto di Lucio Perini

“Vuiatri gavi voia schersàr!”. Con queste parole, dopo averle vanamente proposto di tentare la fuga coperta da una loro sortita diversiva, i combattenti della formazione “Aquila”, sorpresi da un rastrellamento nel loro rifugio in Val Policella, videro uscire a combattere la loro compagna Rita Rosani, ventiquattrenne ebrea triestina. Fu subito catturata e uccisa da un sottotenente repubblichino.

  10.Napoli_VeraLombardi_Ritaambrosino

Napoli

VIA VERA LOMBARDI (1904-1995)

Foto di Rita Ambrosino

Nata nel 1904 in una famiglia di tradizioni socialiste, Vera partecipò agli incontri clandestini di antifascisti, durante i quali scambiava libri e materiali clandestini. Dopo la guerra rimase protagonista della vita culturale e politica napoletana: è stata per anni presidente dell’Istituto campano per la Resistenza che, dopo la sua morte, le è stato intitolato.

 




ITALIA – Scene di vita triestina

di Claudia Antolini

Trieste conta 17 strade dedicate a sante e madonne, 2 a benefattrici locali e 7 che ricordano la sua storia. Le targhe femminili sono 39 su un totale di circa 1300, meno del 3%, a fronte di più di 700 dediche a uomini. Poche le donne moderne, d’arte e di penna, presenti nelle targhe cittadine.

Gli odonimi della toponomastica sacra vanno ascritti al periodo preunitario italiano. Per lo più si tratta delle numerose denominazioni della Madonna, di nomi di sante e martiri che, a lungo, sono state le uniche presenze toponomastiche femminili. In molti casi le denominazioni nascevano in maniera spontanea dalla popolazione.

Laiche o religiose, le benefattrici hanno dedicato la loro vita ad aiutare i bisognosi, l’infanzia abbandonata, i poveri e i malati; spesso hanno fondato opere assistenziali che ancora oggi funzionano; hanno offerto il loro amore e, se benestanti, anche i loro averi, a testimoniare che la solidarietà umana non manca mai, anche nei periodi più bui. Le opere di carità e beneficenza hanno costituito, per molte donne, le uniche forme di autonomia riconosciute e accettate dalla famiglia e dalla società. Le strade di Trieste ricordano Sara Davis e Cecilia de Rittmeyer, donne abbienti che decisero di impiegare le loro sostanze e i loro sforzi a migliorare le condizioni di vita dei meno fortunati.

Quando la toponomastica femminile trae spunto dalla storia, sceglie spesso mogli o madri di personaggi famosi, donne che, pur avendo avuto in vita compiti e ruoli significativi, hanno dovuto cedere il passo, nella commemorazione, ai loro uomini. A Trieste è presente via Cornelia Romana, madre di Caio e Tiberio Gracco.

Altre figure sono celebrate perché la storia le ha perseguitate e rese martiri, quasi fosse implicito per il genere femminile che, per meritare un odonimo, è necessario essere vittime: ricadono in questo caso Elisa Baciocchi e Mafalda di Savoia, e Norma Cossetto.

La città non ha comunque dimenticato il coraggio delle donne che abbracciarono la causa della Resistenza. Conoscevano la crudeltà dei tedeschi, intuivano che la ferocia maschile dei soldati si sarebbe scatenata contro di loro più che contro un semplice militare nemico, eppure non si fermarono. A lungo la storiografia ufficiale le ha ignorate, sottovalutando il loro ruolo. Rita Rosani, Laura Petracco (ricordata con il fratello), Alma Vivoda (a Muggia) e Ondina Peteani hanno sacrificato la vita per l’onore e la libertà di tutta la nazione italiana; per loro l’intitolazione di strade e giardini e la medaglia d’oro al Valor Militare (tranne che per Ondina Peteani, deceduta nel 2003.

Negli ultimi anni, amministrazioni più sensibili al recupero della memoria femminile iniziano a compensare il gap di genere intitolando a figure moderne, di cultura e d’azione, aree verdi della città.

Fotografie di Lucio Perini

01.TRIESTE_giardinoBarbieri Perini

Risale al 4 giugno 2014 l’intitolazione del giardino comunale di via Mascagni (Valmaura) a Fedora Barbieri (Trieste 1920 – Firenze 2003), la mezzosoprano triestina, ma di fama internazionale, che portò il calore della sua voce nei più grandi teatri lirici europei e americani.

Triestina di nascita, debutta a Firenze a soli vent’anni. Nel 1942 canta alla Scala per la Nona Sinfonia di Beethoven. Negli anni Cinquanta è spesso a fianco della Callas e fino agli anni Settanta resta all’apice del successo, grazie al temperamento drammatico e al profondo calore della sua voce.

02.Trieste_giardino.Leonor.fini_LucioPerini

A Leonor Fini (Buenos Aires 1907 – Parigi 1996), pittrice, è dedicato il giardino che si trova in via Boccaccio, a Roiano. L’intitolazione risale all’11 dicembre 2014. A Trieste l’artista trascorre i primi vent’anni scoprendo, da autodidatta, la vocazione per la pittura. Fondamentale l’amicizia con artisti e letterati locali Leonor, eclettica e anticonformista, ebbe una carriera lunga, ricca di eventi, tra Milano, Roma e Parigi, e relazioni importanti.

03.Trieste.ave ninchi.Perini 2

Ave Ninchi (Ancona 1915 – Trieste 1997), dal 22 dicembre 2013, è ricordata nel piazzale antistante la sede dell’Arac, all’interno del giardino di via Giulia. Nata nelle Marche ma cresciuta a Trieste, Ave fu attrice di teatro e di cinema e conduttrice televisiva molto amata. Nel 1939 esordì a teatro, interpretando una lunga serie di figure popolari che la resero celebre. Sei anni più tardi ebbe inizio la sua brillante carriera nel cinema, che la portò ad affiancare Totò, Anna Magnani e Alberto Sordi.

04.TRIESTE.madieri.LUCIOPERINI

Marisa Madieri (Fiume 1938 – Trieste 1996) ha uno spazio verde che la ricorda in via Benussi, nel quartiere di Valmaura, dallo scorso 8 maggio.

Aveva appena undici anni quando la sua famiglia abbandonò Fiume e si stabilì a Trieste. Nel suo primo romanzo, Verde Acqua, pubblicato nel 1987, narra dell’esodo dall’Istria e dipinge la città natale sullo sfondo delle sue memorie infantili e adolescenziali. Ad oggi è considerata una delle maggiori voci narranti dell’esodo istriano, e le sue opere sono state tradotte in varie lingue.

05.Trieste_giardino chiara longo 2

A Borgo San Sergio, dal 22 novembre 2014 si può riposare nel giardino Chiara Longo (Trieste 1951 – 1995), grande atleta triestina: nell’arco di 5 anni riuscì a conseguire le vette più alte della pallacanestro.

Ottima giocatrice di squadra vantò ben 58 presenze in nazionale, l’ultima delle quali a Rio de Janeiro, contro il Messico.

06.Trieste.giardinoondinapeteani_Perini

È del 27 gennaio 2015 la dedica di un giardino a Valmaura ad Ondina Peteani (Trieste 1925 – 2003), eroina della Resistenza e prima staffetta partigiana d’Italia. Entra diciottenne nei battaglioni del Carso, fugge da due arresti ma nel marzo del ’44, viene deportata, dapprima ad Auschwitz, poi a Ravensbrück e infine in una fabbrica nei pressi di Berlino, dove mette in atto un programma di sabotaggio alla produzione. Nell’aprile del ’45, durante una marcia di trasferimento, riesce a scappare e a raggiungere Trieste, percorrendo in 3 mesi più di 1300 km. Nel dopoguerra diventa ostetrica e continua la sua attività politica nel Pci, nei sindacati, nell’Anpi, nell’Aned e nei movimenti femminili.

07.Trieste.giardino wulz.Perini

Nei pressi dell’Università di Trieste, in via Catullo, troviamo il Giardino Wanda e Marion Wulz, (Trieste 1903 – 1984 e Trieste 1905 – 1993), dedicato alle due fotografe triestine, figlie d’arte. Iniziano la loro carriera con il padre, nello studio fotografico fondato dal nonno, del quale diventeranno titolari nel 1928. Portano avanti la tradizione del ritratto, le vedute della città e i servizi commissionati da opifici e cantieri. Wanda si fa riconoscere per la sua personale interpretazione della realtà: vicina al futurismo, viene notata da Marinetti, in una mostra tenutasi a Trieste nel ’32. “Io+gatto”, la sua immagine più famosa. Nel 1981 cedono il loro archivio allo studio dei Fratelli Alinari di Firenze.

08.Trieste via santa maria maggiore Lucio Perini sett 2012

Santa Maria Maggiore si riferisce a uno dei più importanti edifici sacri della città, dedicato al culto dell’Immacolata Concezione.

Strade intitolate a sante e madonne si riferiscono in gran parte a santuari o località particolarmente significative per il culto, ma anche a piccole costruzioni sacre, a immagini devozionali davanti alle quali ci si fermava per un breve riposo e una preghiera.

09.Trieste.Servola_ZoraPerello

Su di un colmello alla periferia di Trieste, ora compreso nella città, si trova Servola, una volta villaggio di pescatori ora quartiere che mantiene orgogliosamente le sue specificità. A Zora Perello, antifascista servolana morta ventiduenne nel campo di concentramento di Ravensbrück è dedicata la lapide posta sulla sua Casa del Popolo. Nella foto, quasi una sintesi storica di questo angolo di Europa: San Antonio, il leone di Venezia, la stella rossa della repubblica Yugoslava e dei partigiani titini.

10.Trieste.Servola_lapideGiovannaGenzo_LucioPerini

A 50 metri un’altra epigrafe, anche questa bilingue, fissa un momento particolarmente duro e difficile della storia di questa città. Malgrado la sconfitta nazifascista, il territorio di Trieste e dintorni vive un clima di guerra civile. La Civil Police, forza dell’ordine temporanea istituita dagli angloamericani, è composta in larga parte da ex membri del Partito Nazionale Fascista e della Guardia Civica, da disertori della zona B (territorio amministrato dagli jugoslavi) -e da domobranci, i miliziani sloveni anticomunisti. Innumerevoli saranno le manifestazioni di piazza e le proteste represse nel sangue da queste “forze dell’ordine”. Il 10 marzo 1946, nel rione di Servola, la Civil Police spara sulla folla che aveva issato alcune bandiere per una manifestazione filojugoslava provocando una ventina di feriti e la morte di Giovanna Genzo, madre di tre bambini, e Giorgio Bonifacio.