ITALIA – Gli antichi mestieri femminili: le donne e il mare. (Dalla mostra “Toponomastica femminile. Donne e lavoro”)

Le società dei paesi di mare, nonostante le apparenze, hanno avuto connotati matriarcali. Vista l’assenza continua degli uomini, il ruolo delle donne era centrale nell’organizzazione familiare: alla lontananza dei maschi per lunghi periodi corrispondeva lo sviluppo di saldi rapporti orizzontali, che attraversavano più nuclei, sempre gravitanti intorno a figure femminili; si solidificavano vincoli di parentela, di vicinato o di gruppo e si potenziavano i sentimenti di solidarietà che garantivano un guscio protettivo contro le avversità.
Le donne erano forti, vigorose e temprate dalle fatiche casalinghe, che si sommavano ai carichi di lavoro in appoggio alle attività di pesca maschili e a forme di imprenditoria elementare molto spesso fondamentale.
Neanche le vedovanze ricorrenti, causate dalle sciagure del mare, spegnevano la loro forza reattiva, alimentata dalla necessità di continuare a essere il fulcro della famiglia.
Le donne si svegliavano all’alba e rubavano ore al riposo notturno per svolgere mille mansioni. Erano loro a curarsi della casa, degli anziani e dell’educazione dei figli, per i quali rappresentavano un ancoraggio saldo rispetto al fluttuare della figura paterna.
A loro si richiedevano molte attività collaterali alla pesca, quali ad esempio la produzione di reti, la confezione e il rammendo di vele, la messa a bagno dei cordami nella miscela resinosa che serviva a limitarne l’usura, la ricerca e la preparazione delle esche. Instancabili lavoratrici, raccoglievano la legna lungo la battigia, praticavano la sciabica assieme agli uomini o giravano l’argano per trarre in secco le barche.

Dopo lunghe attese sulla spiaggia, scaricavano il pesce, vendevano la parte di spettanza o la appaltavano ai pescivendoli, trasportavano sulla testa il pescato e le reti.

1.Donne sulla spiaggia di San Benedetto

FOTO 1. DONNE SULLA SPIAGGIA. Foto dell’Archivio storico di San Benedetto del Tronto

2.Donne in attesa delle barche. San Benedetto

FOTO 2. DONNE IN ATTESA DELLE BARCHE. Foto dell’Archivio storico di San Benedetto del Tronto

All’importante ruolo svolto dalle donne nell’economia marinara, un lavoro fondamentale e continuo rimasto sempre nell’anonimato, il Comune di San Benedetto del Tronto ha dedicato una sezione del “Museo del mare” e ha collocato nelle sue strade il monumento bronzeo dedicato al lavoro delle retare, opera dello scultore Aldo Sergiacomi, inaugurato nel 1991.

3.Monumento alla retara.San Benedetto del tronto

FOTO 3. MONUMENTO ALLA RETARA. Foto del Comune di San Benedetto del Tronto
L’attività delle retare è stata a lungo la più diffusa e numericamente significativa.

Tutta la comunità, cioè l’elemento femminile, era coinvolta in questo lavoro, dalle bambine alle donne più anziane, secondo un sistema tramandato nel tempo e che si acquisiva solo con la pratica.

In estate si lavorava all’esterno delle case, vicino alla porta d’ingresso o in un angolo fresco del vicolo. Pur lavorando sodo non mancavano momenti di allegria e di divertimento, canti, chiacchiere e discussioni accompagnavano il lavoro delle retare, attente anche a seguire i giochi dei bambini e delle bambine non ancora in età da lavoro.

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FOTO 4. Retare. Foto dell’Archivio storico di San Benedetto del Tronto

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FOTO 5. Vecchia retara. Foto dell’Archivio storico di San Benedetto del Tronto

In inverno il più delle volte l’attività si svolgeva all’interno, di giorno vicino alla finestra e la sera vicino al fuoco continuando a lavorare fino a notte fonda.

Sedute sulle seggiole le retare cominciavano a svolgere le matasse di spago; servendosi di un’altra sedia sulla quale appoggiavano la rete via via prodotta, lavoravano la corda di canapa con una specie di lungo ago di legno piatto chiamato linguetta e attorcigliavano lo spago su cannucce di vario diametro dette morello, a seconda della grandezza che le maglie dovevano avere. Iniziavano a comporre le maglie con gesti rapidi e vigorosi in modo da realizzare nodi molto robusti che non si strappassero durante la pesca.

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FOTO 6. Retare. Foto dell’Archivio storico di San Benedetto del Tronto

La rete era grossa o più sottile, secondo lo spessore dello spago utilizzato; era divisa in parti diverse e ogni donna era esperta di un lavoro particolare. Quando la rete commissionata dal padrone era completata, la si distendeva e la si apriva sulla strada, piegandola numerose volte fino a farla diventare di dimensioni poco ingombranti. Il pacco di rete veniva legato, caricato in testa e riconsegnato.

Un’altra mansione tipicamente femminile era quello delle velare. Le vele erano importanti, i colori sgargianti e i disegni indicavano il suo proprietario e l’equipaggio imbarcato: era un segno distintivo che da riva mogli, madri e figlie cercavano e seguivano scrutando l’orizzonte.

Erano le donne a occuparsi della confezione e della cura delle vele. Molto spesso erano loro anche a tessere in casa le stoffe con cui realizzarle. Le velare si dedicavano alla cucitura sedute sulla spiaggia, unendo teli di cotone o di canapa. Le donne provvedevano anche alla manutenzione, ricucendo gli strappi e rattoppando i cedimenti dei tessuti dovuti all’usura.

7.Velare

FOTO 7. Velare. Foto dell’Archivio storico di San Benedetto del Tronto

Il pesce era l’oro della zona, ma un oro che lasciava cattivo odore, che non andava mai via. Nonostante cercassero di cancellarlo in ogni modo, le donne portavano addosso il loro lavoro in ogni momento della giornata.
Sulla riva del mare scrutavano l’orizzonte aspettando le barche di ritorno dalla pesca.

8.Donne al rientro delle barche.San benedetto

FOTO 8. Donne al rientro delle barche. Foto dell’Archivio storico di San Benedetto del Tronto

Una piccola parte del pescato spettava alle famiglie dei marinai e le donne attendevano che finisse la distribuzione e la vendita dei grossi quantitativi per allungare i loro cesti e prendere quanto rimaneva. Spesso il pesce consegnato non veniva utilizzato per il fabbisogno familiare, ma rivenduto a poco prezzo oppure barattato con ortaggi, frutta o qualsiasi altro genere alimentare prodotto dal mondo contadino.
Le donne che erano riuscite a dar vita a semplici forme di commercio dividevano il pescato secondo le varie qualità e, dopo averlo sistemato sui carretti, andavano a venderlo nei paesi vicini o al mercato locale. In tutti i posti in cui si svolgeva la vendita del pesce le donne utilizzavano la bilancia in ottone, tenuta in mano per pesare ma anche, agitandola, per richiamare la gente ad acquistare, accompagnando i gesti con voci tese e squillanti.

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FOTO 9. Pescivendole. Foto dell’Archivio storico di San Benedetto del Tronto

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FOTO 10. Pescivendole. Foto dell’Archivio storico di San Benedetto del Tronto




THAILANDIA – Stretta Ue sulla pesca illegale: 8mila pescherecci a riva

I controlli di Bangkok imposti dall’Unione Europea hanno rivelato migliaia di imbarcazioni fuori norma. La Thailandia ha una settimana di tempo per mettere in regola il settore, pena il bando delle importazioni nel vecchio continente. Il peschiero occupa 300mila persone, migliaia delle quali rischiano di perdere il lavoro.
Più di 8mila pescherecci thailandesi rischiano di vedersi negata l’autorizzazione alla pesca, in seguito ai controlli effettuati negli ultimi mesi dal governo per combattere la pesca illegale. In 22 provincie del Paese, sono state trovate migliaia di imbarcazioni con numero di registrazione invalido, permesso scaduto, o altri parametri fuori norma. Se tutti i pescherecci dovessero essere banditi, sarebbe un colpo durissimo per l’industria peschiera thailandese, settore che occupa circa 300mila persone.
I controlli delle autorità fanno seguito al “cartellino giallo” che l’Unione Europea ha inflitto a Bangkok lo scorso aprile, minacciando di sospendere le importazioni di pesce se la Thailandia non fosse riuscita, entro sei mesi (cioè entro fine ottobre), a raggiungere precisi standard di regolamentazione della pesca volte a diminuire l’illegalità e favorire la tutela dell’ambiente. Le azioni richieste al governo comprendono la registrazione delle barche, l’istallazione di sistemi satellitari in grado di tracciare il percorso dei pescherecci, la costruzione di centri per il controllo della pesca, l’aumento dei controlli del pescato nei porti.
Le misure restrittive imposte dall’Unione Europea hanno scatenato la rabbia dei pescatori, che a migliaia hanno scioperato per giorni lo scorso luglio in 22 provincie. La messa in pratica delle regolamentazioni, infatti, aveva impedito alla maggioranza dei pescatori di entrare in mare, per paura di essere fermati dalla polizia. La pena massima per i possessori dei pescherecci sono tre anni di prigione. Per solidarietà, anche molti pescatori in regola si sono rifiutati di prendere il mare, creando il caos nel settore.
Gli esiti dei controlli sui 40mila pescherecci registrati al Thailand’s National Shippers’ Council, sono stati resi noti  da Kamolsak Lertpaiboon, segretario della Thai Fisheries Association. Le licenze di 8.024 pescherecci che operano nel Golfo della Thailandia e nel Mare delle Andamane saranno revocate se i pescatori non agiranno entro breve. Secondo Lertpaiboon, la maggior parte delle imbarcazioni fuori regola non pescano in acque thailandesi ma indonesiane e malaysiane.
L’Unione Europea annuncerà a dicembre se la Thailandia sia da inserire nella lista nera (con conseguente blocco delle importazioni) o se Bangkok avrà mostrato sufficiente collaborazione.
La Thailandia è il terzo esportatore di pescato al mondo: l’anno scorso il mercato ha raggiunto i tre miliardi di dollari. Il giro d’affari con l’Europa ammonta tra i 575 e i 730 milioni di euro l’anno