FRANCIA – Finalissima Euro 2016 Francia – Portagallo. Islanda la vincintrice simbolica

L’Europa ha assistito attonita al risultato del referendum sulla Brexit che ha decretato l’uscita dell’Inghilterra dall’Unione Europea. Contemporaneamente, lo svolgersi dei campionati di calcio Euro 2016 ha in un primo momento distolto l’attenzione delle masse, ciò nonostante l’Europa si è ritrovata frammentata e claudicante, infatti sull’onda della Brexit, altri paesi membri dell’UE, tra cui la Francia, paese ospitante dell’edizione 2016, si sono interrogati sulla probabilità di non essere più parte di un’Europa che pare aver perso la sua identità.
In Italia da alcuni anni si discute su questa tematica, ma in questo momento il coraggio e l’audacia degli azzurri in campo ha distolto l’attenzione degli Italiani. La squadra azzurra sin dal principio era stata data per perdente, infatti in molti non avrebbero scommesso che avrebbe superato la fase preliminare, invece sin dalla prima partita hanno mostrato grinta e valore battendo il Belgio che risultava essere tra le favorite. L’Italia si è classificata prima nel suo girone e negli ottavi ha battuto la Spagna, squadra tra le più temute. Ai quarti si è dovuta arrendere ai rigori contro i teutonici campioni del mondo .
La delusione è giunta proprio quando il sogno europeo covato per 48 anni sembrava trasformarsi in realtà .
Gli azzurri sono tornati a casa con un trofeo simbolicamente più importante, perché grazie al duro lavoro dei giocatori e del loro allenatore Antonio Conte, hanno riportato gli italiani a credere nella nazionale di calcio divenuta sinonimo di unità.
Unica nota negativa è stata dovuta al comportamento semplicistico e irriverente di Pellé nei confronti del portiere tedesco Neuer. L’attaccante italiano nelle precedenti partite si era mostrato decisivo segnando 2 gol decisivi, uno durante la partita col Belgio e l’altro contro la Spagna.
La finale degli europei si disputerà tra la squadra del Portogallo e quella della Francia, domenica 10 luglio alle 21:00 a St Denis presso lo Stade de France che ha ospitato l’apertura di Euro 2016, ma in molti hanno decretato l’Islanda come vincitrice simbolica, che ha per la prima volta partecipato agli europei, strappando la qualificazione, sconfiggendo nel 2014 l’Olanda. L’Islanda è stata sconfitta il 3 Luglio dalla Francia, ma dopo la partita tutti gli spettatori hanno cantato con i calciatori Islandesi l’inno nazionale, nel pieno rispetto di valori quali solidarietà e condivisione.
Non ci resta che incrociare le dita per l’Europa sempre più priva di dignità e, calcisticamente parlando, che vinca la migliore!




Cinque scrutini per un compromesso. Ecco come l’Italia ha ottenuto il seggio all’Onu

Quando il presidente dell’Assemblea Generale, il danese Mogens Lykketoft, annuncia i risultati del primo scrutinio, la Svezia prende 135 voti e viene eletta. Alle sue spalle c’è l’Olanda con 125, vicina al quorum dei due terzi, e solo al terzo l’Italia, con 113 voti. Gli impegni che avevano raccolto alla vigilia erano superiori, almeno venti voti in più, e quindi qualcuno nel segreto della consultazione ci ha traditi. Il sacrificio per salvare i migranti, il lavoro nelle missioni di pace, e la competenza nell’area del Mediterraneo e Medio Oriente non sono bastati. Nel frattempo Bolivia ed Etiopia vengono elette per i posti riservati all’America latina e all’Africa.

In questa situazione si è passati al ballottaggio a due e  al voto a oltranza. Il ministro degli Esteri Gentiloni (che alla fine dirà: «È stata una dimostrazione di unità dell’Europa»), l’ambasciatore Cardi, il vice Lambertini e tutta la squadra dei diplomatici italiani è passata tra i banchi a stringere mani, scambiare commenti, cercare di consolidare i nostri voti e conquistare altri. L’Olanda è più vicina al traguardo, ma nella seconda votazione nessuno raggiunge il quorum. Sono loro che perdono più consensi, scendendo da 125 a 99, mentre l’Italia cala da 113 a 92. Questo può essere un segnale incoraggiante: forse l’idea di mandare nel Consiglio due Paesi nordici sta frenando i sostenitori dell’Aja. Il Kazhakstan intanto ha battuto la Thailandia e ha conquistato il seggio asiatico.

Si passa alla terza votazione, ma anche questa non dà risultati. Anzi, l’Italia recupera e quasi raggiunge l’Olanda: 96 voti per loro, 94 per noi.
Gentiloni si chiude con i suoi collaboratori in un salottino dietro all’Assemblea Generale, e tutti si mobilitano per recuperare voti: telefonate alle capitali, contatti diretti al Palazzo di Vetro, strette di mano. Secondo le stime di una fonte italiana impegnata direttamente nelle trattative, noi abbiamo un blocco solido di circa 45 voti africani, 20 mediorientali e 20 sudamericani.

L’Europa sta in larga parte con l’Olanda, facendoci forse pagare la decisione presa nel 2009 dall’allora ministro degli Esteri Frattini di inserirci nella competizione, dopo che Svezia e Olanda avevano già presentato la candidatura. L’Estremo Oriente sta con i nostri avversari, così come i Caraibi, legati all’Aja anche dalle relazioni seguite all’epoca coloniale. La strategia ora è conservare il blocco dei nostri voti, cercando di aumentarli lavorando sulle aree dove siamo più forti, che sono anche le regioni dove ci sarebbe più interesse geopolitico ad avere un paese del sud Europa in Consiglio. Neanche le concitate trattative dell’ora di pranzo, però, sbloccano lo stallo. Anzi, nella quarta votazione l’Olanda conserva i suoi 96 voti e l’Italia sale a 95.

Si va al quinto scrutinio, dove possono presentarsi altri candidati, ma lo stallo si accentua. Parità: Olanda 95 voti, Italia 95. L’ambasciatore Cardi confabula col collega olandese, davanti al ministro Gentiloni. Nel nome dell’unità europea, all’opposto di quanto è successo con la «Brexit», dividono il mandato: l’Aja si ritira e Roma viene eletta, ma dopo un anno si dimette. A quel punto viene indetta una nuova elezione, con l’Olanda come unico candidato.

Anche alla quarta votazione c’è stata una fumata nera per Italia e Olanda. L’Italia ha ottenuto 95 voti e l’Olanda 96. Già al primo turno nella votazione per il seggio non permanente al Consiglio di Sicurezza dell’Onu nessuno dei due Paesi aveva ottenuto il quorum per l’elezione come membro non permanente del Consiglio di Sicurezza al secondo turno. L’Italia ha ottenuto 92 preferenze e l’Olanda 99. Al primo turno la Svezia era passata superando la soglia dei 128 voti necessari. L’Olanda è arrivata seconda, senza però superare il quorum, e l’Italia terza con 113 voti.

Tra gli altri gruppi geografici, la Bolivia è stata eletta con 183 voti per l’America Latina e Caraibi, l’Etiopia con 185 voti per l’Africa. Oltre il secondo seggio per l’Europa Occidentale che vede in lizza Italia e Olanda rimane da assegnare anche il seggio per il gruppo Asia-Pacifico, che vede il ballottaggio tra Tailandia e Kazakistan.

Dal 1 gennaio i cinque nuovi membri non permanenti sostituiranno gli uscenti Spagna, Nuova Zelanda, Angola, Venezuela e Malesia. Rimangono per il 2017 Egitto, Giappone, Ucraina, Senegal e Uruguay, oltre i cinque Paesi con un seggio permanente, ossia Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Russia e Cina.




GINEVRA – Le Società Nazionali di Croce Rossa contrarie all’accordo tra UE e Turchia

Alcune Società Nazionali di Croce Rossa della zona Europa, tra cui l’Italia con il Presidente Francesco Rocca, esprimono forti preoccupazioni per le conseguenze sul piano umanitario in seguito  per arginare i flussi migratori verso l’Europa.

Le Società, pur apprezzando gli sforzi compiuti dai paesi dell’UE nell’affrontare l’enorme crisi umanitaria in corso, sottolineano che l’accordo rischia di violare i diritti umani dei rifugiati, nonché il diritto internazionale ed europeo. In sintesi si chiede di garantire la possibilità di richiedere asilo agli aventi diritto, e di accedere a procedure eque ed efficaci per la determinazione dello status di rifugiato, nonché di garantire la protezione contro i respingimenti.

In Grecia è in corso una terribile emergenza umanitaria. Si tratta di una crisi europea che richiede atti concreti e autentici di solidarietà tra gli Stati. Né la Grecia né la Turchia possono prendersi cura esclusivamente di tutti i migranti che arrivano sul loro territorio. Nonostante gli sforzi dell’Unione Europea per fermare i flussi migratori, sulle isole greche continuano ad arrivare ogni giorno circa mille migranti che, come testimoniato dalla Croce Rossa Ellenica e dalle altre Società intervenute sul posto, ad oggi sono bloccati in condizioni spaventose, vivendo in tende esposti alle intemperie, e con condizioni igieniche e sanitarie molto precarie, così come precario è l’accesso al cibo, ai generi di prima necessità e all’istruzione.
In seguito all’accordo UE-Turchia, migliaia di persone sono state trasportate dalle isole greche sulle terraferma, creando confusione e panico che aggravano ulteriormente le condizioni già insicure di questi vulnerabili.

“Non bisogna dimenticare – dicono le Società Nazionali della Croce Rossa della zona Europa – che dietro alle trattative politiche su numeri e accordi finanziari, c’è la situazione disperata di centinaia di migliaia di persone vulnerabili, uomini, donne, padri, madri e figli, che rischiano la vita ogni giorno per cercare la salvezza in Europa. Riteniamo che l’accordo UE-Turchia rifletta una mancanza di empatia e umanità rispetto alla vera natura della disperazione che ha spinto molte persone ad intraprendere questi viaggi pericolosi. Secondo la nostra esperienza, le politiche di deterrenza e le chiusure dei confini hanno avuto un effetto limitato nel ridurre la vulnerabilità delle persone di fronte alla disperazione.

I controlli indiscriminati alle frontiere e la criminalizzazione della migrazione irregolare tendono a esporre i più vulnerabili, in particolare donne e bambini, a rischi sempre maggiori, come la separazione familiare, gli abusi sessuali, la tratta, le violenze e la morte.

Come abbiamo visto più volte, quando si chiude un confine, si creano rapidamente nuove rotte. Abbiamo a che fare con le ripercussioni enormi di conflitti irrisolti e con la povertà estrema, che richiedono urgentemente soluzioni politiche e azioni concrete come creare percorsi sicuri e legali in Europa, facilitare il ricongiungimento familiare, impostare operazioni di ricerca e soccorso nell’intero bacino del Mediterraneo garantendo assistenza ai migranti in difficoltà, dare priorità alla collaborazione tra Stati per garantire senza ostacoli la sicurezza e l’assistenza umanitaria alle vittime di conflitti e violenze.
Mentre Croce Rossa e Mezzaluna Rossa continueranno a fornire assistenza e protezione ai migranti vulnerabili lungo le rotte migratorie, gli Stati dell’UE devono assumersi congiuntamente le loro responsabilità e trovare soluzioni durature e più umane. In base alla nostra esperienza, oltre il 40 per cento dei Siriani che arrivano sulle isole greche vogliono riunirsi ai familiari già presenti in altri Stati europei. È importante sottolineare che le misure attuate non devono essere a scapito dei rifugiati provenienti da altri paesi, come l’Afghanistan, l’Iraq e l’Eritrea, che oltretutto stanno compiendo pericolose traversate in mare per ottenere la protezione internazionale in Europa.
Siamo consapevoli delle sfide che la situazione provocata dalla grande ondata migratoria in corso comporta per i governi dell’UE. Tuttavia, siamo convinti che le Società Nazionali di Croce Rossa e gli Stati membri dell’UE dovrebbero affrontare questo sforzo insieme. Ci aspettiamo di più da parte dei nostri governi e allo stesso tempo siamo pronti a fornire il nostro supporto”, concludono in una nota congiunta le Società Nazionali di Croce Rossa zona Europa.
La nota è sottoscritta dalle Società Nazionali di Croce Rossa dei seguenti Paesi: Austria, Belgio, Regno Unito, Cipro, Danimarca, Finlandia, Francia, Irlanda, Italia, Lettonia, Lituania, Olanda, Norvegia, Slovenia, Spagna, Svezia e Svizzera.




FRANCIA – Le vittime libanesi non interessano nessuno

Le fiamme che venerdì scorso hanno illuminato Parigi, pregne di morte e rabbia, hanno scosso le coscienze del mondo intero, provocato sdegno e generato intolleranza negli animi di chi ha sempre provato un’insofferenza latente nei confronti dei musulmani. Ad essi, però va ricordato che i terroristi dell’Isis hanno massacrato in Libano, due giorni prima degli attentati verificatisi a Parigi, 44 persone e ferito 139, tutti musulmani, ma le vittime libanesi non interessano a nessuno, come peraltro i 224 turisti deceduti nell’esplosione dell’aereo passeggeri recante bandiera russa, nei pressi della regione del Sinai. Durante la notte i jihadisti hanno esultato sui social network, postando messaggi come:”Ricordate, ricordate il 14 novembre di #Parigi. Non dimenticheranno mai questo giorno, così come gli americani l’11 settembre”, “La Francia manda i suoi aerei in Siria, bombarda uccidendo i bambini, oggi beve dalla stessa coppa”. La replica di Hollande è stata di far bombardare le basi strategiche e di addestramento dell’Isis, in Siria, sostenendo di non aver ucciso durante il raid alcun civile, come se gli ordigni sapessero distinguere e colpire solo gli jihadisti. Il giorno dopo la mattanza compiuta dai terroristi, la capitale francese si è svegliata stordita, sui muri erano ancora affissi alcuni manifesti che riportavano lo slogan “Je suis Charlie”, ricordando e denunciando il massacro avvenuto nella sede della testata satirica Charlie Hebdo, con l’unica differenza che in quell’occasione i monumenti erano stati tappezzati con matite, mentre in questi giorni la gente posa su di essi dei fiori. La gente s’incontra per strada, si abbraccia, cerca conforto nel dialogo, spesso s’incontravano per le strade gruppi di gente tra di essa sconosciuti. Uno dei luoghi colpiti dai terroristi venerdì è stato il teatro Bataclan, quando gli attentatori hanno fatto irruzione nella sala, era in corso il concerto della band statunitense Eagles of Death Metal,in cui ha perso la vita la studentessa italiana Valeria Solesin. Sin da subito, la priorità della polizia francese, è stata quella di arrestare la mente del commando, ossia il belga Abdelhamid Abaaoud, morto assieme a sua cugina, che si è fatta esplodere durante lo scontro a fuoco del 18 novembre, in cui le teste di cuoio hanno arrestato otto probabili jihadisti. Il clima di terrore, sta portando i paesi europei a rafforzare le misure di sicurezza, infatti nei giorni seguenti sono state sospese due partite di calcio, la prima tra Spagna e Belgio e la seconda ad Hannover tra Germania e Olanda a causa di un pacco contenente esplosivo. Avrebbe dovuto assistere a quest’ultima partita anche la cancelliera tedesca Angela Merkel.




INDIA – Arbitraggio internazionale per la testa dei marò. Rinnovato il permesso a Latorre

Dopo oltre 40 mesi di stallo, la contesa tra Italia e India sul caso dei fucilieri di Marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone ha ufficialmente imboccato la strada dell’arbitrato internazionale. Riconoscendo gli obblighi derivanti dalla Convenzione Onu sul diritto del mare (Unclos), New Delhi ha infatti accettato che la Corte permanente di arbitraggio (Cpa) dell’Aja risolva la controversia sulla giurisdizione per l’incidente che ha coinvolto il team antipirateria della petroliera Enrica Lexie il 15 febbraio 2012 e in cui sono morti due pescatori indiani.

Nel frattempo ha appoggiato la decisione dei giudici di estendere di altri sei mesi (è stato il quarto rinnovo) del permesso a Latorre, che scadeva il 15 luglio, per proseguire la sua convalescenza dopo l’ictus che l’ha colpito a fine agosto 2014 e l’operazione al cuore dello scorso gennaio.

Per il governo di Roma è la conferma che la strategia dell’internazionalizzazione sta finalmente dando frutti dopo l’insuccesso dei contatti diplomatici. “E quindi le decisioni di oggi – ha sostenuto la Farnesina – confermano il consolidamento del percorso arbitrale intrapreso dall’Italia il 26 giugno”. “Non possiamo sottrarci agli obblighi di una convenzione di cui siamo firmatari”, ha detto al giudice il rappresentante del governo indiano, P.S. Narasimha, ma ha detto che l’India parteciperà “per dire agli arbitri che la giurisdizione è nostra e non dell’Italia”.

Nel frattempo però la Corte Suprema dovrà pronunciarsi su un’altra istanza presentata dalla Difesa italiana in cui si chiede che siano sospesi tutti i procedimenti penali in attesa dell’inizio del processo in Olanda. A questo proposito, il presidente della sezione ha chiesto al governo indiano che formalizzi la sua posizione con un “affidavit” per il 26 agosto, quando è stata fissata la prossima seduta. Nel comunicato degli Esteri si sottolinea poi che «non c’è stata opposizione» dell’India, anche se era stato richiesto per Latorre un periodo più lungo sulla base di certificati medici.

La Farnesina ha aggiunto che “l’Italia si accinge ora ad attivare tutte le misure necessarie per consentire il rientro» anche di Girone. È quello che auspica anche lo stesso Latorre. «Sono soddisfatto ma il mio pensiero è sempre rivolto a Salvatore e al desiderio di poterlo riabbracciare al più presto in Italia”.

Le notizie provenienti da New Delhi sono state accolte da un coro di commenti del mondo politico dopo le infuocate polemiche sul “post” su Facebook “Non è ora che impicchino i due marò?” del segretario di Rifondazione comunista di Rimini, Paolo Pantaleoni, che ha deciso di rimettere il suo mandato. Tra le reazioni politiche va segnalata quella del presidente della Commissione Difesa della Camera, Elio Vito (Fi), secondo il quale l’Italia si deve attivare ora «per ottenere il rientro di Girone», mentre Fabrizio Cicchitto (Ncd) ha parlato di «passi significativi frutto di un lavoro difficile sia del governo Letta sia di questo governo».

Da parte sua Nicola Latorre (Pd), presidente della Commissione Difesa del Senato, ha sottolineato come “il dialogo con l’India stia dando i suoi frutti”, per cui “ora si rende necessaria l’unità del Paese”. E se Pier Ferdinando Casini ritiene che “l’arbitrato può essere una via d’uscita da una situazione che pregiudica i rapporti” fra Italia e India, Maurizio Gasparri dice “basta a prepotenze e sotterfugi”.




IRLANDA – Primo paese al mondo a chiedere il matrimonio gay con un referendum

L’Irlanda è stata il primo paese al mondo a chiedere ai cittadini di decidere in un referendum se le coppie omosessuali abbiano diritto a sposarsi, come gli eterosessuali. ll 62,1% ha votato sì, i no si sono fermati al 37,9%. I voti complessivi a favore sono stati 1.201.607, mentre quelli contrari 734.300. La presidente della Camera dei Deputati, Boldrini, ha commentato: “Essere europei significa riconoscere i diritti”.

I Paesi in cui i matrimoni omosessuali sono legali salgono a quota 21 tra cui l’Olanda, dove sono stati legalizzati nel 2001, il Belgio (due anni dopo) e ancora il Regno Unito, lo scorso anno. Per un Paese come l’Irlanda, che ha depenalizzato l’omosessualità solo nel 1993,  è un passo particolarmente significativo. Per quanto riguarda adozioni e maternità surrogate nessun cambiamento: l’adozione è già possibile per le coppie gay, nel caso di unioni civili o convivenze, se uno dei due partner è legalmente genitore. La maternità surrogata non è regolata in Irlanda e il governo sta lavorando per legiferare in proposito.

Il premier irlandese Enda Kenny ha ringraziato i giovani per la vittoria del sì. Tantissimi si sono anche impegnati a fare campagna per il sì sui social network, mentre molti sono rientrati dall’estero per votare. Secondo Kenny, cattolico praticante, la decisione manda anche un messaggio alla comunità internazionale sulla “leadership pionieristica“ dell’Irlanda.

“È una rivoluzione sociale” dice l’arcivescovo di Dublino e Primate d’Irlanda – Diarmuid Martin -. La chiesa ora deve fare i conti con la realtà”. I vescovi irlandesi avevano lanciato un appello chiedendo di rispettare i valori della famiglia tradizionale.

Il voto è stato accolto con entusiasmo dal Commissario europeo Cecilia Malmstrom, liberale svedese: “Congratulazioni all’Irlanda per aver votato sì alle nozze gay e si all’amore per tutti” ha twittato aggiungendo tre cuoricini. Un tweet che è stato rilanciato anche dall’account della  Commissione europea.

“Dall’Irlanda una spinta in più. È tempo che anche l’Italia abbia una legge sulle unioni civili. Essere europei significa riconoscere i diritti”, scrive la presidente della Camera, Laura Boldrini.




“Atom for peace”. Sarà vero?

«Meglio non avere un accordo che un cattivo accordo», ha proclamato  la Guida Suprema Ali Khamenei, riecheggiando le parole del premier israeliano Benjamin Netanyahu, ostinato avversario dell’intesa di Losanna.

In sincronia con il presidente iraniano Hassan Rohani, Khamenei si è detto molto irritato perché l’Iran vorrebbe la revoca immediata delle sanzioni e non graduale, agganciata alle ispezioni dell’Aiea come nelle intenzioni dichiarate dal Cinque più Uno. Le sanzioni, secondo Teheran, devono essere cancellate il giorno stesso dell’accordo definitivo previsto entro il 30 giugno. La leadership iraniana sembra pretenziosa e intrattabile.

Il leader, in un intervento trasmesso dalla tv di Stato in occasione della Giornata nazionale della tecnologia nucleare, ha spiegato: “Vogliamo un accordo vantaggioso per tutte le parti coinvolte nei colloqui sul nucleare” e ha aggiunto: “Il presidente Usa, Barack Obama, ha riconosciuto che il popolo iraniano non si arrenderà a sopraffazioni, sanzioni e minacce, e questo fatto è una conquista” da parte della Repubblica islamica in sede di negoziati sul nucleare con le potenze mondiali.

Avere reattori civili in Iran non è come mettere il cartello “Zona denuclearizzata” all’ingresso delle nostre città di provincia, testimonianza di un grande impegno pacifista per un mondo libero da armi atomiche durato sino agli anni Ottanta.

Per Barack Obama la situazione si complica, il presidente degli USA dovrebbe pensare a un piano B, lo scenario è  mutato da  quando,  nel 1954,  Eisenhower approvò ufficialmente il progetto “Atom for Peace” al fine di agevolare l’introduzione dell’energia nucleare in applicazioni civili e per la produzione di energia elettrica, e trovare un punto di equilibrio diventa più difficile.

In Medio Oriente le trattative sono complesse e anche le parole hanno un significato diverso: l’Iran dei persiani è in guerra, le milizie sciite combattono in Iraq e in Siria contro il Califfato sunnita e i suoi alleati, da Al Qaeda alle monarchie arabe del Golfo, alla Turchia. Nello Yemen, Teheran è ai ferri corti con l’Arabia Saudita, in un conflitto dai connotati sempre più settari e inconciliabili, in cui si è arrivati a schierare navi da guerra nello Stretto di Bab el Mandeb, “la Porta delle lacrime”.

E la parola nucleare è legata più alla parola guerra che al termine energia, come vogliono invece  far credere.

Neanche la CIA sa esattamente quante testate nucleari abbia Israele (che si rifiuta categoricamente di dare spiegazioni in merito) ma la stima migliore ne accredita 80 a Tel Aviv, con plutonio sufficiente per arrivare fino a 200. Solo nel 1998 l’odierno presidente Shimon Peres rivelò che gli esperimenti israeliani sul nucleare erano cominciati già negli anni Cinquanta. Israele disporrebbe di unità terrestri, aeree e sottomarine, per il lancio dei missili.

Mentre l’Iran, per quanto accusato da Israele di essere a un passo dall’ottenere un ordigno nucleare, non ha ancora  un armamento.

L’Iran di oggi come quello dello Shah Mohammed Reza Palhevi, allora alleato di Washington, ambisce a essere una potenza nel Golfo. I suoi avversari arabi fanno di tutto per impedirlo e non esitano ad allearsi con Al Qaeda e il Califfato per raggiungere lo scopo. In questo conflitto, interno all’Islam, ma con implicazioni globali, gli Stati Uniti e l’Europa sono in posizione contraddittoria: combattono lo Stato Islamico, ormai penetrato a Damasco, e allo stesso tempo dichiarano di sostenere i sauditi nello Yemen e fanno affari con le petromonarchie che appoggiano i movimenti più radicali e terroristi.

In un colloquio a Teheran di qualche tempo fa, Shariatmadari, che perse un braccio nelle prigioni dello Shah e a sua volta torturava i prigionieri politici nel carcere di Evin, fu esplicito: «Sono gli americani che devono fare la pace con noi, non noi con loro».

Khamenei parla all’Iran  e alla comunità internazionale occidentale e araba. Deve accontentare l’ala estremista della rivoluzione islamica contraria all’accordo di Losanna.

In cima alla lista dei Paesi che possiedono armi nucleari ci sono gli Stati Uniti,che hanno condotto più test, dispongono di 7.650 testate, di cui 2.150 attive e così distribuite: 500 testate terrestri, 1.150 assegnate ai sottomarini nucleari e 300 pronte per essere montate sugli aerei. Inoltre, nell’alveo del programma di condivisione nucleare della NATO, la CIA riferisce di altre 200 bombe termonucleari (B61 a gravità) schierate in cinque Paesi NATO: Belgio, Germania, Italia, Paesi Bassi e Turchia.

La Russia dispone di 8.420 testate nucleari, di cui 1.720 attive. Gli effetti delle sperimentazioni atomiche sovietiche sono ancora oggi evidenti in molte aree dove furono condotti i test. Nell’odierno Kazakhstan, ad esempio, tra il 1949 e il 1989 il sito di Semipalatinsk fu teatro di ben 456 esplosioni termonucleari. Inutile dire che quell’area è estremamente radioattiva, per un raggio di almeno 80 km, tale che intere comunità e villaggi, ancorché distanti, portano addosso i segni indelebili di quegli esperimenti, che si sostanziano in deformazioni, leucemie e malattie ereditarie.

La Cina si ha iniziato a produrre  armi nucleari  dal 1950, dopo che gli Stati Uniti intrapresero esperimenti nucleari nel Pacifico (proprio durante la guerra tra le due Coree). Il primo test di successo con un ordigno nucleare è targato 1964, cui seguì la prima prova termonucleare due anni e mezzo più tardi (il più breve tempo tra fissione e fusione le prove di tutte le potenze nucleari). Oggi si suppone che la Cina abbia circa 140 testate terrestri e 40 assegnate per gli aerei. La CIA, che ne ha stimate 240 in totale, ritiene che le restanti testate siano conservate per un futuro impiego in un sottomarino nucleare, che oggi non possiede.

La Francia, dopo USA e Russia, è la terza potenza nucleare al mondo, anche se dispone di “sole” 300 testate, 250 delle quali assegnate a sottomarini nucleari e le restanti 50 pensate per attacchi aerei. Nel 1996, sotto la presidenza Chirac, ha smantellato tutte le testate terrestri.

Il Regno Unito ha condiviso con gli americani il “Progetto Manhattan”, padre di tutte le sperimentazioni nucleari, sviluppando poi un proprio personale programma (pur condividendo oltre la metà dei test con gli USA). Oggi dispone di 160 ordigni operativi, esclusivamente per uso sottomarino.

Pakistan e India dispongono entrambe di circa 100 testate (90/110). Islamabad decise di avviare un proprio programma nucleare nel 1972, in seguito alla guerra con l’India, sperimentando test sotterranei (nel distretto di Chagai, vicino al confine con l’Iran) e oggi dispone di missili nucleari terrestri e aerei. L’India, di converso, ha prodotto armi nucleari proprie dopo i test nucleari della Cina a metà degli anni Sessanta, testando i propri ordigni dal 1974 al 1998. Dispone di missili nucleari aerei e terrestri e da anni cerca di allargare il programma nucleare alle forze marine.

La Corea del Nord, secondo le stime della CIA, avrebbe meno di 10 testate nucleari che ha sperimentato in tre occasioni (2006, 2009 e 2013), fatto che ha comportato per Pyongyang dure reazioni della comunità internazionale e nuove sanzioni economiche. Tuttavia, la minaccia nucleare nordcoreana, particolarmente contro Corea del Sud e Stati Uniti, è poco più che un bluff. Infatti, anche se la Corea ha condotto tre test nucleari sotterranei ed effettuato test missilistici balistici, e nonostante la certezza che gli scienziati nordcoreani abbiano separato abbastanza plutonio per le 10 testate di cui sopra, non è confermato che Pyongyang sia davvero in grado di armare i missili e lanciarli, non disponendo né di sottomarini né di aerei in grado di condurre un efficace attacco dal cielo.

Mutatis mutandis, anche la politica energetica internazionale è stata modificata.

Nonostante i dati favorevoli al nucleare (soprattutto in Francia), secondo l’IAEA (International Atomic Energy Agency) il peso dell’energia nucleare rispetto alle altre fonti di energia era destinato a ridursi entro il 2020. Questa previsione è datata 2004 ed è  stata smentita dagli ultimi eventi della politica energetica internazionale. L’affermazione e l’ascesa di nuovi paesi sullo scacchiere mondiale (es. Cina e India) e la conseguente crescita della domanda di energia mondiale ha spinto alla cantierizzazione di nuovi reattori nucleari. In Asia sono attualmente in cantiere almeno 15 nuove centrali nucleari (Cina, Corea del Sud, India e Taiwan). La situazione in Europa  merita invece un livello di approfondimento maggiore. L’assenza di investimenti nella costruzione di nuove centrali nucleari in Europa negli anni ’90 è un dato di fatto. La Finlandia è stato l’unico paese europeo ad avere messo in cantiere nell’ultimo decennio del ‘900 la costruzione di una nuova centrale nucleare (centrale di Olkiluoto, attiva entro il 2010).

L’approccio nei confronti del nucleare da parte dei paesi europei è radicalmente mutato nel corso del primo decennio degli anni duemila. L’effetto serra e il caro petrolio hanno fatto riavvicinare all’energia nucleare anche i paesi occidentali più scettici. Agli inizi degli anni duemila molti paesi europei nuclearizzati (Svezia, Germania, Olanda e Belgio) avevano deciso di non sostituire le attuali centrali nucleari al termine del loro ciclo produttivo.

L’acuirsi del problema ambientale e le cicliche crisi del petrolio e del gas hanno però rimesso in discussione il destino del nucleare in Europa. La politica prevalente in questi ultimi anni tende a prolungare la vita delle centrali nucleari europea, in attesa di una possibile risposta ai problemi del nucleare da parte della ricerca scientifica. Prevale pertanto una politica di attesa.

Sono circa 440 i reattori nucleari attivi nel mondo. I paesi con maggiore presenza di reattori nucleari sono i seguenti: USA (1049), Francia (59) e Giappone (53).




Olanda tra libertà e libertinaggio: «Scusa Roma Actie» (photoreportage all’interno)

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Cara Elisabeth Jane Bertrand,

francamente non mi aspettavo che una cittadina olandese potesse essere così sconvolta e sensibile di fronte ai danni provocati a Roma dai teppisti del Feyenoord.

Lo scrissi due anni fa nel mio “Cronache dal Belgio”: “Trovo che Amsterdam non sia interessante dal punto di vista storico-culturale. Nei comportamenti che osservo c’è tanta barbarie. La regina è super protetta, non riusciamo nemmeno a vederla da lontano. […] Non ci divertiamo, siamo tutti un po’ delusi dallo scenario. […] Alcuni sono irriverenti ed esagerati, i più indossano un cappello. Per le strade la gente organizza mercatini. Si beve moltissimo e la maggior parte fa uso di stupefacenti. Passeggiando per le vie si sente rimbombare solo musica commerciale. Le persone si ammassano, i pisciatoi sono sempre occupati, la città si sporca subito di piscio, carte, lattine e bottiglie. A peggiorare le condizioni igieniche gli escrementi dei cavalli. Amsterdam ci appare squallida e pericolosa. […] con i suoi eccessi mi ha lasciato stupita, penso che droghino la gente per non farla suicidare”.

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Hai raccolto circa 4mila euro. Il tuo obiettivo è di raggiungere quota 100mila, per contribuire a restaurare la Barcaccia di Piazza di Spagna, un’opera del Barocco italiano, quasi completamente distrutta dai teppisti di Rotterdam, che non potrà più tornare come prima, come l’ideò e realizzò il talentuoso Bernini nel 1629. Uno dei fini della colletta online – spieghi – è di «esprimere alla popolazione di Roma la vergogna provata dagli olandesi per questi comportamenti, e di offrire una donazione al Comune di Roma dopo questa terribile giornata, in modo da poter tornare nella città eterna a testa alta».

Chiedi che la donazione equivalga «almeno ad un mazzo di tulipani, in modo da regalare l’equivalente di migliaia di campi», dei fiori simbolo dei Paesi Bassi.

Trovo il tuo gesto molto civile e nobile rispetto al contesto in cui vivi, dopo questo episodio penso che tu sia l’eccezione che confermi la regola. Forse per i Paesi Bassi è giunto il tempo di pensare a un’alternativa?

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