Pittura e poesia




L’altro sguardo

A partire dalla scorsa settimana e fino al 2 settembre, il Palazzo delle Esposizioni di Roma ospita la mostra fotografica intitolata L’altro sguardo: fotografe italiane dal 1965 al 2018, dove si trovano opere di decine di artiste e giornaliste di vari ambiti dagli anni Sessanta a oggi. La raccolta, a cura di Raffaella Perna, proviene dalla collezione di Donata Pizzi, archivista per L’Espresso e responsabile della sede romana dell’agenzia americana The Image Bank. 

Le opere meno recenti risalgono alla seconda metà degli anni Sessanta, quando le donne sono entrate nel mondo del fotogiornalismo. Prima di allora erano esistite alcune eccellenti fotoreporter (Tina Modotti, Dorothea Lange, Gerda Taro…) ma erano una nicchia molto ristretta. Perché le fotoreporter siano riconosciute per il loro valore bisogna aspettare gli anni Sessanta e Settanta, quando il movimento femminista ha costretto la società ad accettare la presenza e la partecipazione femminile in tutti gli ambiti della vita pubblica. In seguito, verso la fine degli anni Novanta, la fotografia si è estesa ancora a causa del digitale, fino a diventare un fenomeno di massa a tutti gli effetti.

La prima sezione della mostra è intitolata Dentro le storie. Vi si trovano le fotoreporter che hanno documentato gli ultimi decenni della vita pubblica e di donne e uomini e della politica italiana. 

Foto 1

La più celebre tra le giornaliste qui ospitate è certamente Letizia Battaglia: troviamo un’immagine di una bambina illuminata nella penombra di una stradina palermitana (foto 1) e una testimonianza istantanea dell’omicidio di Piersanti Mattarella da parte della mafia. Tra le immagini di denuncia spicca quelle di Carla Cerati, che testimonia le condizioni di vita nei manicomi prima che Franco Basaglia  trasformasse lo status e la percezione del malato psichiatrico, da delinquente da punire a persona da aiutare.

Quello del manicomio è un tema che negli anni Sessanta e Settanta ha attirato l’attenzione di numerosi reporter italiani come Mario Giacomelli, Gianni Berengo Gardin e la stessa Letizia Battaglia. 

La storia italiana prosegue in questa sezione con uno scatto di Giovanna Borgese che mostra il processo, celebrato a Torino nel 1981, contro le donne che negli anni Settanta avevano militato nel gruppo armato Prima Linea: nell’immagine le donne, chiuse in una gabbia come polli, mostrano rabbia e rassegnazione nell’ascoltare la sentenza emanata dallo Stato che l’addetto alla repressione avvolto nella sua toga sta pronunciando con le spalle rivolte alla fotografa (foto 2). Un’ulteriore immagine di questa sezione che merita decisamente di essere ricordata è opera di Isabella Balena, in cui, con linee dritte e geometrie quadrate, la fotoreporter riprende un albero rinsecchito e un palazzo con dei panni stesi le cui pareti sono crivellate di proiettili: siamo a Mostar, città simbolo della guerra civile che ha insanguinato la Jugoslavia negli anni Novanta, guerra di cui la NATO e l’Italia in particolare sono state protagoniste.

Foto 2

La sezione successiva della mostra ha un titolo molto significativo: cosa ne pensi tu del femminismo? È con questa domanda che si entra nella seconda sala dell’esposizione. La prima immagine che si nota, opera di Gabriella Mercadini, documenta l’occupazione da parte dei collettivi femministi della capitale del reparto di ginecologia e maternità dell’ospedale San Giacomo (oggi in gran parte dismesso a causa dei recenti tagli alla sanità voluti dalle giunte di governo regionale di entrambi gli schieramenti politici). La foto risale al 1978, quando il dibattito sull’interruzione di gravidanza era al centro dell’attenzione politica e mediatica: il principale frutto delle lotte femministe di quegli anni è stata la vittoria al referendum del 1981, indetto dal Partito Radicale, che ha legalizzato l’aborto in Italia, nonostante la propaganda contraria della Chiesa e della Democrazia Cristiana, facendo passare il concetto che la maternità debba essere una scelta consapevole e ragionata e non una sorte da subire passivamente. È legittimo chiedersi se questo scatto, che costituisce un documento importante per chi studia la storia sociale del Novecento, sia più adatto alla seconda sezione sul femminismo o alla prima sui mutamenti storici e sui fatti politici dell’Italia repubblicana. Si trova in questa sezione la fotografia digitale di Anna Di Prospero intitolata Central Park #2 che funge da immagine di copertina per i manifesti che pubblicizzano l’intera mostra: lo scatto, uno dei pochi a colori, ritrae una donna di spalle mentre rema nel lago di Central Park, a New York, con gli alberi del parco e la punta dell’Empire State Building che fanno da sfondo (in copertina). L’immagine più bella delle sala, realizzata da Agnese De Donato, storica femminista e fondatrice della rivista Effe, morta un anno fa, è intitolata Donne non si nasce, si diventa (foto 2), frase di Simone de Beauvoir emblematica del movimento femminista degli anni Settanta. 

Foto 3

Tutta la mostra, e questa seconda sezione in particolare, insiste sulla rappresentazione del femminile attraverso immagini di donne raffigurate da se stesse e da altre donne. Il fatto di mostrare parte del corpo femminile (nella foto la donna in primo piano con il pugno alzato ha una gonna corta, tipica di quegli anni, e una giacca aperta che lascia vedere buona parte del seno) indica la liberazione dal pudore di cui era piena la società retrograda e sessuofobica precedente all’esplosione del femminismo. Nelle immagini successive la stessa Agnese De Donato ritrae un uomo a petto nudo in pose ostentate che ricordano il modo in cui la fotografia pubblicitaria usa spesso i corpi femminili trasformandoli in semplici oggetti di desiderio e di marketing.

La terza sezione della mostra è intitolata Vedere oltre e si allontana completamente dal percorso storico seguito nel resto dell’esposizione. Qui sono esposte non fotografie ma opere astratte realizzate dopo il 2000 con il digitale, a colori, per mostrare le potenzialità del nuovo mezzo. È difficile trovare un tema unico che faccia da filo conduttore a ciò che si può vedere nella stanza. 

La quarta e ultima sezione, intitolata Identità e relazione, indaga sull’identità femminile nel tempo. In questa sezione Moira Ricci presenta una fotografia autobiografica di confronto tra le immagini di se stessa a Milano con il compagno, nel 1953, e della propria famiglia negli stessi luoghi oggi. Poco distante si trova un interessante fotomontaggio di Anna Di Prospero intitolato Selfportrait with my mother (foto 4), proveniente dalle serie Self portrait with my familiy (non riportata interamente al Palazzo delle Esposizioni): un progetto con cui l’artista intende usare la fotografia per indagare sui propri legami affettivi più intimi. La necessità di dar voce ai vissuti personali e alle esperienze quotidiane delle autrici è nata con la politicizzazione della vita privata, tema che ha costituito uno dei cavalli di battaglia del femminismo novecentesco. 

Foto 4

La mostra è accessibile dal martedì alla domenica dalle 10 alle 20 ed è possibile entrare fino a un’ora prima dell’orario di chiusura dell’edificio.

Da martedì 24 luglio a domenica 26 agosto l’orario di apertura sarà posticipato alle 12 e la chiusura del sabato alle 23. La libreria del museo, per chi fosse interessato al catalogo della mostra, segue gli stessi orari. 

Il prezzo intero del biglietto è di 12,50 euro; è prevista una riduzione a 10 euro al di sotto dei 26 anni (compresi) e al di sopra dei 65; persona invalide o al di sotto dei 6 anni di età hanno diritto all’accesso gratuito; in caso di prenotazione il costo del biglietto aumenta di 2 euro. 

L’ingresso è gratuito inoltre per chiunque abbia meno di 30 anni ogni primo mercoledì del mese dopo le ore 14.00 e ogni prima domenica del mese per tutte le persone residenti a Roma. 

 




L’Elica e la Luce. Le futuriste a Nuoro

Il Museo MAN di Nuoro ospita fino al 10 giugno 2018 la mostra “L’Elica e la Luce” curata da Chiara Gatti e Raffaella Resch dedicata alle artiste che operarono nell’ambito del Futurismo. È solo a partire dagli anni Settanta  che si è prestato attenzione alle opere e alle biografie delle artiste delle avanguardie del Novecento. Inutile dire che si tratta di personalità eccezionali le cui date di nascita e morte e le loro stesse opere sono state ignorate o dimenticate..

Esse aderirono al più misogino dei movimenti dell’avanguardia del secolo scorso, che si diceva programmaticamente avverso alla presenza femminile. La visione futurista descrive una visione dell’arte totalizzante, che esalta la forza, la velocità, la guerra da cui il genere femminile deve essere escluso.

Oggi le protagoniste del movimento futurista femminile, autrici di opere di alto valore dalle biografie intriganti e complesse, sono raccontate mirabilmente al MAN, rappresentate e ricordate in rigoroso ordine alfabetico, su un lunghissimo bianco striscione, che dal terzo piano del Museo giunge fino al pian terreno.

Sono figure indipendenti, artiste e intellettuali di primo piano nella ricerca estetica d’inizio secolo. I campi d’interesse sono vastissimi, dalla scrittura alla pittura, dall’illustrazione alla ceramica, non esclusi gli studi di metapsichica e l’occultismo. Ci sono le astrattiste, un compatto gruppo che operò sul lago di Como, centrale elettrica di imperiosa spiritualità, tra cui spiccano Carla Badiali, Carla Prina, Cordelia Cattaneo e Bice Lazzari, autrice di opere improntate alla libertà espressiva nei materiali e nelle forme astratte. Non mancano le donne del post domani, vere attiviste dei diritti femminili, come Rosa Rosà e Valentine de Saint-Point,responsabile del gruppo Actione féminine fondato a Parigi nel 1913. Presenti le autrici dei paesaggi cosmici, che assumono caratteri visionari e allegorici – Luce Balla, Leandra Angelucci e Rùzena Zàktovà con i suoi quadri-sensazione, in cui indaga il valore tattile della materia – e le sperimentatrici dell’ebbrezza del volo nella realtà e nell’arte, come Benedetta, Barbara, Regina e Marisa Mori.Artiste totali, spregiudicate, spesso passate in sordina, inosservate dalla critica coeva, o assorbite dall’anonimato della vita familiare, o cancellate delle guerre (valga, tra i tanti, il caso di Alma Fidora, la cui biblioteca e l’archivio di documenti sono andati distrutti sotto i bombardamenti).

La mostra rintraccia – attraverso oltre 100 opere fra dipinti, sculture, carte, tessuti, maquette teatrali e oggetti d’arte applicata – l’operato di queste donne che hanno lavorato dagli anni dieci fino agli anni quaranta, firmando i manifesti teorici del futurismo, partecipando alle mostre, sperimentando innovazioni di stile e di materiali in ambiti trasversali quali le arti decorative, la scenografia, la fotografia e il cinema, ma anche la danza, la letteratura e il teatro recitano le note di presentazione delle curatrici .

Una mostra da visitare

Sito http://www.museoman.it/it/mostre/mostra/mostra/Lelica-e-la-luce/




L’isola della toponomastica: itinerari ”Donne e lavoro” in mostra a Forio d’Ischia

Una mostra  itinerante dal Torrione di Forio d’Ischia agli antichi portoni del centro storico. Tutti i giorni partiranno due tour mattutini, dalle 9.00 alle 11.00 e dalle 11.00 alle 13.00 con partenza dal bar “La Lucciola” curati da studenti del “IIS Mennella” che guideranno turisti e scuole dell’isola nelle varie tappe della mostra ”Donne e Lavoro” in esposizione gratuita, da martedì 6 a sabato 10 marzo 2018.

La mostra realizzata e curata da Toponomastica femminile comprende trenta pannelli provenienti da tutta Italia. Da due anni l’Associazione collabora con L’Istituto Mennella. Il Progetto Scuola VIVA e le attività di ricerca-azione sulla memoria delle donne ischitane si sono distinte sul territorio dell’isola per aver sollecitato una riflessione sulla presenza e l’impegno femminile isolano.

L’allestimento e il percorso di visita sono realizzati da allievi e allieve e racconta le vicende delle donne e mare, delle viaggiatrici, giornaliste, filosofe, archeologhe. Ischia è terra contadina, sede di turismo, crocevia internazionale e cosmopolita, isola antica ricca di storia e leggende; non mancheranno perciò ritratti di attrici registe scrittrici agricoltrici chef stellate, operatrici turistiche, letterate, studiose. La mostra si dipana sul percorso della memoria. Le occupazioni delle donne nel mercato del lavoro sono state spesso prolungamenti delle attività eseguite in famiglia. Oltre a svolgere il lavoro di cura, le donne sono state da sempre impegnate in attività tipicamente femminili: sarte, ricamatrici, balie, insegnanti, educatrici, contadine, lavandaie, stiratrici, corallare.

Dal dopoguerra a oggi la possibilità di studiare e prepararsi ad affrontare il mondo competitivo del lavoro ha aperto  nuove prospettive così da raggiungere ruoli professionali un tempo interdetti: poliziotte, magistrate, mediche, notaie, astronaute e astrofisiche, biologhe marine. La mostra documentaria testimonia la fatica e i successi delle lotte femminili per raggiungere la parità. Attraverso lo studio della toponomastica, le targhe stradali al femminile dedicate a queste protagoniste del mondo del lavoro ci fanno scoprire storie femminili dimenticate o non raccontate; ciò significa mantenere vivo il ricordo di grandi donne per le nuove generazioni.

I pannelli raccolgono un ricco repertorio di foto di targhe stradali, documenti, foto d’epoca, immagini attuali, rappresentazioni di opere d’arte. Ha aderito al progetto L’Associazione Culturale Radici, cui è affidato il Museo Civico “Giovanni Maltese”. L’opera del cronista dell’epoca “La Solfatrice”, simbolo della Vita isolana, simbolo della generatrice di Vita e portatrice di Lavoro e del Benessere sociale, sarà prima tappa dell’itinerario toponomastico femminile .

 




Toponomastica e linguaggio: esempi di visibilità e invisibilità femminile nelle intitolazioni

Il 6 marzo, al palazzo del Bo, in Aula Nievo nel cortile Antico dell’Università di Padova, si è svolto il convegno di studio su “Lingua e toponomastica, Percorsi di toponomastica nell’arco alpino”, organizzato dalla Fondazione Giovanni Angelini – Centro studi sulla montagna, in collaborazione con l’Università di Padova, Dipartimento di Studi linguistici e letterari e la Società Filologica Friulana.

Si è parlato di toponomastica dolomitica, di oronimi bellunesi, di varianti dolomitiche da antiche carte friulane e oronimi del Friuli e del suffisso “-essa, lessico e toponomastica di un femminile”.

Per l’occasione è stata allestita una piccola mostra curata da Toponomastica femminile  con alpiniste scalatrici, botaniche, cartografe e donne di montagna.

Poche sono le intitolazioni femminili nelle strade e nei luoghi deputati al ricordo pubblico, se poi si aggiunge l’uso di un linguaggio corrente e istituzionale che nasconde la presenza femminile attraverso l’uso del così detto maschile-neutro, diventa quasi scontata l’invisibilità delle donne. Eppure il forte legame tra la montagna e il potere femminile di generare viene tramandato dalla notte dei secoli a partire dal nome tibetano della montagna Everest, Chomolungma, che significa Madre dell’Universo, o dal nome della Cho Oyu che significa Dea Turchese, o dell’Annapurna che in nepalese significa Dea dell’Abbondanza. Ma le audaci, per superare i limiti sociali loro imposti, spesso hanno dovuto usare nomi maschili.