In Sardegna con le costituenti

La mostra itinerante di Toponomastica femminile, che illustra la memoria odonomastica riservata alle ventuno donne dell’Assemblea Costituente, sbarca in questi giorni in Sardegna e, grazie al supporto dell’A.N.P.I., verrà esposta a Cagliari, nello spazio comunale SEARCH, dal 10 al 17 Marzo.

A seguire, l’esposizione raggiungerà le scuole che ne faranno richiesta, per dibattere con ragazze e ragazzi di storia del Paese e di cittadinanza consapevole partendo da un punto di vista inusitato: la storia delle donne, raramente presente nei manuali ufficiali.

Ventuno nomi da ricordare nelle strade cittadine, ventuno modelli di grande impegno civile da offrire alle nuove generazioni.

Portano il loro segno l’art. 3 della Costituzione, che disciplina il principio di uguaglianza, l’art. 29 che riconosce l’uguaglianza tra i coniugi, l’art. 30 che tutela i figli nati al di fuori del matrimonio, l’art. 37 che tutela il lavoro delle donne e dei minori, l’art. 51 che garantisce alle donne l’ammissione ai pubblici uffici e alle cariche elettive.

L’esordio delle italiane in politica si ebbe con la Consulta Nazionale (1945-1946).

Le quattordici consultrici, nominate dal Governo Parri, si erano distinte per l’impegno antifascista e la partecipazione alla Resistenza: quasi tutte avevano vissuto la clandestinità, il carcere, l’esilio, le persecuzioni e nel dopoguerra ricoprivano incarichi dirigenziali nei partiti, nei sindacati, nelle associazioni, nei movimenti. Dieci di loro militavano nell’Udi, ma erano stati i rispettivi partiti a designarle: Virginia Quarello Minoletti (liberale), Laura Bianchini e Anna Maria Guidi Cingolani (democristiane), Clementina Caligaris Velletri, Jole Tagliacozzo Lombardi e Claudia Maffioli (socialiste), Gisella Floreanini della Porta, Ofelia Garoia Antonelli, Teresa Noce Longo, Rina Picolato, Elettra Pollastrini (comuniste) e Adele Bei Ciufoli (comunista scelta dalla Cgil), Bastianina Musu (partito sardo d’azione) che morì prima del suo insediamento, e Ada Prospero Marchesini Gobetti, sua sostituta.

La loro formazione politica era solitamente avvenuta in famiglia, con i padri, i mariti, i fratelli e in alcuni casi alla scuola di partito e al sindacato.

Indipendentemente dalla provenienza, tutte avevano a cuore la ricostruzione pacifica, la tutela dei diritti, e l’emancipazione femminile, in un clima di solidarietà che le univa in difesa della neonata democrazia e della vita delle donne in lotta contro altri fascismi.

Entrarono a far parte delle diverse Commissioni: non sempre presero la parola, ma a volte riuscirono a imporre il proprio punto di vista. Come accade ancora oggi, la stampa le derise e fu più interessata al loro abbigliamento che al loro operato.

Il 2 giugno 1946, per la prima volta, le italiane si recarono alle urne per scegliere la forma di governo da dare al Paese ed eleggere l’Assemblea Costituente. Il voto, maschile e femminile, indicò 556 nominativi, di cui 21 donne. Soltanto alcune di loro avevano fatto parte della Consulta e solo cinque delle consultrici, più sostenute dai loro partiti, entrarono in Assemblea.

Maria Agamben Federici, Adele Bei, Bianca Bianchi, Laura Bianchini, Elisabetta Conci, Filomena Delli Castelli, Maria De Unterrichter Jervolino, Nadia Gallico Spano, Angela Gotelli, Angela Maria Guidi, Nilde Iotti, Teresa Mattei, Angelina Livia Merlin, Angiola Minella, Rita Montagnana, Maria Nicotra Fiorini, Teresa Noce, Ottavia Penna, Elettra Pollastrini, Maria Maddalena Rossi, Vittoria Titomanlio avevano alle spalle storie d’impegno sociale e politico e, a volte, esperienze di lotta partigiana, di carcere per attività antifascista, di esilio o deportazione.

Provenivano da ogni parte del Paese, lavoravano e possedevano titoli di studio alti: quattordici erano laureate, molte insegnanti, due giornaliste, una sindacalista e una casalinga. Nove militavano nel partito democristiano, nove nel partito comunista, due nel partito socialista, una nel partito dell’Uomo Qualunque.

Su di loro pesavano aspettative e diffidenze: parlavano in nome dei partiti ma anche in nome delle donne, rappresentando istanze ‘trasversali’ a gruppi e programmi politici.

In tempi in cui le donne erano sottoposte alla patria potestà, non accedevano a molti ruoli della Pubblica Amministrazione e la disparità salariale era sancita dalla legge, le deputate sostennero il diritto a pari opportunità e l’uguaglianza tra i sessi a casa e al lavoro.

 




ITALIA – Le madri della Repubblica: cinque politiche alla Commissione dei 75

Di Maria Pia Ercolini

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Il 2 giugno 1946, per la prima volta, le italiane si recarono alle urne per scegliere la forma di governo da dare al Paese ed eleggere l’Assemblea Costituente.

Il voto, maschile e femminile, indicò 556 preferenze, di cui 21 donne.

 Maria Agamben Federici, Adele Bei, Bianca Bianchi, Laura Bianchini, Elisabetta Conci, Filomena Delli Castelli, Maria De Unterrichter Jervolino, Nadia Gallico Spano, Angela Gotelli, Angela Maria Guidi, Nilde Iotti, Teresa Mattei, Angelina Livia Merlin, Angiola Minella, Rita Montagnana, Maria Nicotra Fiorini, Teresa Noce, Ottavia Penna, Elettra Pollastrini, Maria Maddalena Rossi, Vittoria Titomanlio avevano alle spalle storie d’impegno sociale e politico e, a volte, esperienze di lotta partigiana, di carcere per attività antifascista, di esilio o deportazione.

Provenivano da ogni parte del Paese, lavoravano e possedevano titoli di studio alti: quattordici erano laureate, molte insegnanti, due giornaliste, una sindacalista e una casalinga. Nove militavano nel partito democristiano, nove nel partito comunista, due nel partito socialista, una nel partito dell’Uomo Qualunque.

Su di loro pesavano aspettative e diffidenze: parlavano in nome dei partiti ma anche in nome delle donne, rappresentando istanze ‘trasversali’ a gruppi e programmi politici.

In tempi in cui le donne erano sottoposte alla patria potestà, non accedevano a molti ruoli della Pubblica Amministrazione e la disparità salariale uomo-donna era sancita dalla legge, le deputate sostennero il diritto a pari opportunità e l’uguaglianza tra i sessi a casa e al lavoro.

Portano il loro segno l’art. 3 della Costituzione, che disciplina il principio di uguaglianza, l’art. 37 che tutela il lavoro delle donne e dei minori, l’art. 29 che riconosce l’uguaglianza tra i coniugi, l’art. 30 che tutela i figli nati al di fuori del matrimonio, l’art. 51 che garantisce alle donne l’ammissione ai pubblici uffici e alle cariche elettive.

 Delle ventuno deputate, cinque – Maria Agamben Federici, Nilde Iotti, Angelina Merlin, Teresa Noce, Ottavia Penna – parteciparono ai lavori della “Commissione dei 75”, incaricata dall’Assemblea Costituente di elaborare la proposta di Costituzione da discutere in plenaria.

E di queste cinque madri della patria scriveremo oggi.

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Maria Agamben Federici (DC) 

(L’Aquila, 19/09/1899 – L’Aquila 28 luglio 1984)

Abruzzese di nascita, Maria si trasferì a Roma per proseguire gli studi e si laureò in lettere. Docente e giornalista, dopo il matrimonio e in pieno regime, si trasferì per alcuni anni all’estero, insegnando presso gli Istituti italiani di cultura: al rientro in Italia (1939), s’impegnò nella Resistenza, organizzò un piano di assistenza per le impiegate dello Stato, rimaste disoccupate, un Convegno nazionale per lo studio delle condizioni del lavoro femminile. Si dedicò con grande impegno a educare le masse femminili alla vita pubblica e fu molto attenta alle condizioni materiali della loro vita quotidiana. Lavorò inoltre per assistere l’infanzia e l’adolescenza attraverso la costruzione di asili, scuole, refettori, e promosse aiuti agli emigranti, agli sfollati e ai reduci.

Significativa la sua relazione sulle garanzie economiche e sociali per la famiglia, nella quale chiese allo Stato un intervento a tutela delle lavoratrici madri e un’azione volta a rimuovere gli impedimenti di natura economica alle unioni matrimoniali.

Tra le sue azioni politiche, sostenne la necessità di una riforma agraria, per l’elevazione morale e materiale dei contadini e caldeggiò l’eliminazione di ogni norma che relegasse la donna in settori limitati.

Nel ’48, eletta Deputata per la Democrazia Cristiana, presentò un disegno di legge sulla tutela fisica ed economica delle lavoratrici madri, tradotto in legge nel 1950.

Nell’ultimo periodo della sua vita si dedicò esclusivamente all’impegno assistenziale e culturale, soprattutto in difesa degli emigranti.

Morì a L’Aquila nel 1984.

La sua città le ha dedicato una via, ma anche altri luoghi dell’Italia centrale hanno voluto ricordarla nell’odonomastica: Monteleone Sabino e Perugia.

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Nilde Iotti (PCI)

(Reggio nell’Emilia, 10/04/1920 – Poli, 04/12/1999)

Emiliana di nascita, Leonilde crebbe in una famiglia non agiata che le permise con sacrificio di laurearsi in Lettere all’Università Cattolica di Milano.

Il suo impegno partigiano nella città natale la portò a essere responsabile dei Gruppi di Difesa della Donna (da cui derivò l’UDI – Unione Donne Italiane) e a tessere una rete di solidarietà e aiuto ai combattenti della Resistenza, per la quale ricoprì anche il rischioso ruolo di porta-ordini. Già in quei primi anni di attività politica si fece interprete di quella coscienza civile che le donne iniziarono a manifestare durante il periodo bellico, dopo secoli di esclusione dalla vita pubblica e dopo un ventennio di dittatura, entrando a far parte dell’Assemblea Costituente e della Commissione dei 75, volle occuparsi soprattutto dei temi legati all’istituto familiare e all’emancipazione femminile: si batté per l’affermazione del principio della parità tra i coniugi, del riconoscimento dei diritti dei figli nati fuori dal matrimonio e delle famiglie di fatto.

Continuò a lottare per gli stessi temi nel dopoguerra: per la pensione alle casalinghe, per la riforma del diritto di famiglia, per il diritto al divorzio e all’aborto e per eliminare tutte le possibili forme di discriminazione nei riguardi delle donne.

Equilibrio, saggezza e capacità di mediazione fecero sì che ricoprisse la carica di Presidente della Camera dal 1979 al 1992, per tre legislature, primato non ancora eguagliato che va a sommarsi ad altri incarichi di prestigio: fu la prima donna a ottenere dalla Presidenza della Repubblica un mandato esplorativo per la formazione di governo e fu candidata dalla Sinistra alla Presidenza della Repubblica; fu Presidente della Commissione parlamentare per le riforme istituzionali e Vicepresidente del Consiglio d’Europa,

Nel 1999, ultimo anno di vita, dopo aver dato le dimissioni dagli incarichi pubblici per gravi motivi di salute, un lungo e commovente applauso accompagnò la sua uscita dall’aula parlamentare.

Il Paese la ricorda intitolandole decine e decine di strade, viali, piazze, parchi sparse sull’intero territorio nazionale.

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Angelina Merlin (PSLI) 

(Pozzonovo, PD 15/10/1887 – Padova, 16/08/1979)

 

Veneta d’origine, laureata in Lingue e Letterature straniere, Lina venne sospesa dall’insegnamento perché si rifiutò di prestare il giuramento fascista.

Condannata a cinque anni di confino in Sardegna e poi tornata libera grazie ad amnistia, fu di nuovo arrestata a Padova. Si trasferì poi a Milano per fare della sua abitazione un punto d’incontro per i socialisti e la base organizzativa dell’assistenza ai partigiani.

Nella Commissione dei 75 sostenne il dovere dello Stato di garantire a ogni individuo il minimo necessario all’esistenza, assicurando a tutti il diritto di crearsi una famiglia, e si espresse a favore del diritto di proprietà.

Il suo nome è legato soprattutto alla proposta di legge per l’abolizione delle case di tolleranza (Legge n. 75/1958), sostenuta dalle cattoliche, ma le sue opere significative furono diverse: a lei va il merito della cancellazione del termine N.N. dai documenti anagrafici; sua fu l’iniziativa di abolire il carcere preventivo e di procrastinare l’inizio della pena per le madri e ancora a lei si devono i provvedimenti a sostegno dell’artigianato femminile.

Dal 1963 fu componente della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla mafia.

Le località di Adria, Crotone, Marina di Minturno, Pozzonovo, Rovigo e Ravenna le hanno intitolato una strada, Padova un giardino.

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Teresa Noce (PCI) 

(Torino, 29 luglio 1900 – Bologna, 22 gennaio 1980)

 

Teresa veniva una poverissima famiglia piemontese. Aveva iniziato a lavorare a sei anni, prima consegnando il pane, poi come stiratrice e sarta, e in seguito come operaia alla FIAT. Autodidatta e militante nella sinistra rivoluzionaria, divenne ben presto clandestina in Italia e trascorse molti anni tra Mosca e Parigi, sostenendo gli emigrati politici e i combattenti delle Brigate Internazionali.

Catturata in Francia, Estella (questo il suo nome di battaglia) fu internata nel lager di Ravensbruck e poi destinata ai lavori forzati a Holleischen. Dopo la Liberazione rientrò in Italia e riprese l’attività politica avviando l’incredibile operazione dei treni della felicità, un’esperienza che tra il ’45 e il ’52 salvò oltre 70.000 bambini del Sud da un destino di fame e sfruttamento, grazie all’ospitalità offerta da famiglie del Centro-Nord.

Al suo contributo nella Commissione dei 75 si devono le parole dell’art. 3 della Costituzione: “Tutti i cittadini […] sono uguali davanti alla legge, senza distinzioni di sesso”.

Eletta nel 1948 alla Camera, promosse la parità e il riconoscimento della differenza femminile. La sua battaglia in difesa delle lavoratrici madri portò all’approvazione delle leggi che vietavano il licenziamento di madri, gestanti o puerpere, garantivano il riposo retribuito per maternità e allattamento, l’assistenza al parto, i nidi d’infanzia e le sale per l’allattamento nei luoghi di lavoro. Nel 1952, presentò una proposta di legge sulla parità di retribuzione per le lavoratrici, approvata in Parlamento nel 1956 (L. 741).

A lei sono intitolate strade a Castel Maggiore (Bologna), Lecce, Milano, Mosciano Sant’Angelo (TE), Parma, Possano con Bornago (MI), Ravenna e Roggiano Gravina (CS).

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Ottavia Penna Buscemi (Fronte dell’Uomo Qualunque /Unione Nazionale) 

(Caltagirone, CT 12/04/1907 – Caltagirone, CT 02/12/1986)

 

A Caltagirone, una strada e una lapide apposta sulla casa natale, ricordano le origini di Ottavia Penna, aristocratica siciliana, di fede monarchica, che si appassionò alle idee innovatrici del Fronte dell’Uomo Qualunque e iniziò la sua breve carriera politica, alla vigilia della Repubblica, dapprima nelle sue liste e in seguito nell’Unione Nazionale.

Ottavia era nota per le azioni eclatanti che ne facevano un personaggio singolare: durante la guerra, per sfamare la sua gente, aveva tagliato i sacchi di grano baronali destinati al mercato nero e distribuito alle famiglie povere la carne macellata nelle proprie tenute.

Si candidò per l’Assemblea Costituente e fu l’unica donna della destra a farne parte, grazie alle tantissime preferenze accordatele dai suoi concittadini. Tenace e battagliera, continuò il suo impegno di solidarietà verso poveri ed emarginati e contribuì all’istituzione della “Città dei Ragazzi”. Sostenitrice intransigente della buona amministrazione, contrastò sempre i poteri forti, per rispondere alle reali esigenze delle classi sociali più deboli.

Sempre attenta alla condizione femminile, precorse i movimenti femministi nella lotta per la parità dei diritti.

La sua serietà indiscussa e il grande rigore morale, le valsero la candidatura alla prima Presidenza della Repubblica, dove ottenne ben 32 voti, classificandosi al terzo posto.

Lasciò presto la vita parlamentare e la politica, delusa dai tanti compromessi a cui aveva dovuto assistere.