Griselda

È ben noto che Boccaccio è inscritto con eguale forza, spazio e fortuna sia nel filone della letteratura filogina che in quello dell’opposta letteratura misogina, dacché filo- e miso- ginia in Boccaccio non sono dati biografici, esistenziali, ma culturali, funzionali a due distinte materie di elaborazione letteraria: quello filogino incentrato sul rapporto tra amore e poesia, quello misogino sulla ricerca della ragione e su un ideale del sapiente libero da legami costrittivi.

Nel Decameron, non solo le dedicatarie sono appunto le donne, il pubblico che Boccaccio sceglie prima e più d’ogni altro, che non è poi una novità assoluta da Dante in poi, ma i narratori stessi delle novelle sono in maggioranza donne, non solo dunque solo passive fruitrici delle novelle, ma eloquenti narratrici. E le donne che nelle cento novelle vengono raccontate sono a volte gentili, acute, intelligenti, sagge, altre volte traditrici, false e rabbiose, ma il quadro del mondo femminile che emerge, di rado è dettato da misoginia, piuttosto ha la varietà e il movimento della vita stessa.

Molti studiosi, nella seconda metà del Novecento, si sono soffermati sulla novella di Griselda, poiché dalla comprensione di essa dipende, tutto sommato, il significato ultimo del Decameron. È lo stesso autore, infatti, a porre l’accento sull’esistenza di un percorso interno della brigata: da un «orrido cominciamento» a un «bellissimo piano e dilettevole» e così Griselda è stata interpretata in chiave allegorica, come immagine di Maria. L’interpretazione religiosa è giunta, persino, a vedere nei tormenti della giovane un’allegoria di Cristo, un’interpretazione storico-sociologica l’ha centrata sulla lotta sociale e intellettuale tra un nobile e una plebea e c’è stato chi ha sostenuto che Griselda è profondamente cosciente della propria dignità e dei propri diritti. Ma quella di Griselda può anche essere una “novella intellettuale”, in quanto la “virtù” della donna consiste nel contrastare la “fortuna” che le si abbatte contro, assumendo un’estrema estraneità e distanza dal mondo, tipica del nuovo intellettuale che Boccaccio vuole rappresentare. Un enigma, si è detto, che lo stesso Petrarca aveva risolto con una propria traduzione, De insigni obedientia et fide uxoria, optando per una Griselda simbolo della pazienza muliebre, ma soprattutto esempio di fermezza del buon cristiano, <<sottoposto da Dio a dure prove>>.

Credo che solo in qualche caso l’interpretazione abbia sfiorato il punto senza però centrarlo pienamente o almeno senza mai collocarsi in una visione unitaria dell’intera opera.

Secondo Tzvetan Todorov, l’unità semantica delle novelle sta nel tema di una trasgressione, che, invece di essere punita secondo l’attesa che dettano i modelli del passato, dà luogo a una vittoria grazie all’audace iniziativa personale. In questo senso, egli ritiene che Boccaccio sia un difensore della libera iniziativa e del capitalismo nascente.

A me pare che in Griselda tale schema riceva la più decisa conferma, che dà luogo al più imprevedibile dei successi.

Griselda, che non ha lo statuto sociale per diventare moglie del gran signore, viene da questi messa alla prova oltre ogni limite umano, provata nell’amore materno, nella dignità, nel ruolo di sposa. La risposta attesa dovrebbe essere quella della ribellione, della rottura del patto e quindi, senza appello, della sconfitta, la risposta dovrebbe provare che non ha la forza di spezzare lo statuto della diseguaglianza sociale dal marito. Ma Griselda rovescia ogni attesa e dunque vince. Tutto suo è il marito, i figli sono vivi e salvi, discendenza eletta sua e di Gualtieri, “savio” marito la cui fede nella donna viene sempre confermata, fino al tripudio finale, che non è trionfo dell’obbedienza, bensì rovesciamento del canone. La mite e umile pastora è signora lodata e incontrastata del suo piccolo regno. La sua ascesa sociale, facile da intraprendere, frutto inizialmente di una scelta apparentemente capricciosa del signore, e difficilissima da mantenere, attraverso circa quindici anni di torture, è ormai definitiva.  Vorrei che pensassimo a lei non come a una donna obbediente sino alla follia, ma come a una piccolissima ‘borghese’, che prende e tiene con successo definitivo un potere sociale che i modelli antichi, ch’ella contribuisce a dissolvere, avevano per secoli negato a quelle come lei.

 

In copertina. Francesco di Stefano, detto il Pesellino (1422-1457). Storia di Giselda (particolare)