“Mai più violenza sulle donne” Il murales di Desx per l’8 Marzo

Girando tra le strade del quartiere San Lorenzo a Roma ci si imbatte, in via dei Sardi, nel murale di Luca Ximenes, in arte Desx.

“Mai più violenza sulle donne” così recita la scritta in cima al disegno. Il murale è stato realizzato in occasione dell’8 marzo, giornata internazionale della donna, in concomitanza con il restauro del disegno di fronte. Quest’ultimo rappresenta 107 sagome di carta bianche unite per la mano, una catena di figure femminili, che non hanno nessun connotato particolare, se non quello della gonna, immagini bianche che impressionano per il loro messaggio nudo e crudo. Infatti su di ogni sagoma è posta una targa su cui è scritto il loro nome e la data di nascita e di morte.

Colpisce il modo diretto di rivolgersi all’interlocutore e all’interlocutrice, un nome è sufficiente a prendere confidenza con la vittima, delle date bastano a rendersi conto dell’orrore che è avvenuto. Il numero di donne uccise, purtroppo attualmente sono molte più di quante ne viene ricordata la memoria su quel muro.

Il disegno di Desx, vuole seguire idealmente la linea del primo murale. Rimangono le donne che si tengono per mano, ma stavolta hanno colore e un volto, per quanto sia frammentato ed evanescente. Quasi spiriti benigni che vegliano nel mondo, le 4 figure di donne, dal centro fino all’estremità hanno i tratti del volto e del corpo sempre meno accennati. Librano nell’aria, i piedi non toccano il suolo. Così, ci appaiono sospese, presenti ed assenti nello stesso momento.

Il disegno è stato realizzato quasi interamente con la tecnica del rullo ed i colori utilizzati sono l’azzurro, il rosa, il nero ed il grigio. Colori freddi che raggiungono in maniera diretta e senza mezzi termini spettatore e spettatrice.

Desx nasce a L’Aquila nel 1976 e attualmente vive e lavora a Roma. Da sempre molto attento alle tematiche sociali, ha organizzato nella propria città terremotata, il RE-ACTO Fest, festival di arte urbana, dove ha chiamato a dipingere più artisti, in modo da ridare valore ed attenzione, attraverso l’arte, ad una città quasi tralasciata dalle istituzioni.

In foto: le diverse fasi della realizzazione del murales (Guido Laudani)

 

 

 




Jerico e la dialettica uomo-natura

Jerico, classe 1992, è un artista italiano di origini Filippine. Il suo approccio con il binomio arte-strada avviene a tredici anni, quando comincia a disegnare in posti nascosti e abbandonati della città di Roma, firmandosi come “Dekoner”. 

Con l’iscrizione al liceo artistico approfondisce quei pittori quali Van Gogh, Lucian Freud, Francis Bacon da cui prenderà maggiore ispirazione. 

I primi quadri si concentrano sulla ritrattistica che siano autoritratti o non. Volti frammentati, espressioni sconfitte, esistenze che urlano, chiedono aiuto mentre si dissolvono inesorabilmente. Spettatori e spettatrici non possono fare nulla, non c’è possibilità di riscatto per quelle anime cristallizate sulla tela, chi ne fruisce ha la sola possibilità di essere colto nel profondo e sentir penetrare dentro sé i più cupi e misteriosi meandri dell’animo umano.

La sua ricerca sulla ritrattistica continua in strada, realizzando sia muri legali in quartieri alla periferia di Roma, che “Affissioni Abusive” titolo dei dieci poster attaccati illegalmente sui muri dello storico quartiere operaio di Testaccio.

Nel dicembre del 2014 espone per la prima volta alcuni dei suoi lavori nella mostra collettiva “The pitiless gaze of hysterical realism” al Popping Club nel rione Monti. 

Il primo grande progetto che ha coinvolto Jerico insieme ad altri diciannove artisti è quello realizzato nel 2015 dalla 999Contemporary in collaborazione con l’ATER e il Comune di Roma: Big City Life. La facciata di 14 metri di altezza si trova all’interno di un lotto con più di 500 abitanti del quartiere Tor Marancia. In questa circostanza, trovandosi a dipingere non solo per se stesso ma soprattutto per una collettività di persone, la sua ricerca artistica si evolve maggiormente. 

FOTO 1. Al lavoro a Tor Marancia, foto di Livia Fabiani

Intitolato “Distanza uomo-natura” il murale rappresenta una nuova creazione divina nella quale tra i michelangioleschi indici che si accingono a toccarsi, viene posto un ramo di fiore giapponese. Non c’è segno di inquietudine ma di diffusa serenità che il colore ciano di sfondo fa emergere intorno a sé. 

FOTO 2. “Distanza uomo-natura” a Tor Marancia, foto di Livia Fabiani

La sua ricerca pittorica continua a svilupparsi incentrandosi sulla natura e sul suo rapporto con l’essere umano. Le immagini dipinte da Jerico rappresentano una natura selvaggia e spontanea, non ancora contaminata dall’uomo. 

Ne è un esempio il murale realizzato durante la residenza artistica a Civita Castellana per l’associazione culturale Kill the Pig. “Ultimo orizzonte” è frutto di un elaborato lavoro e una lunga ricerca en plein air.

FOTO 3. Civita Castellana, “Ultimo Orizzonte”, foto di Sara Francola

In questo caso il soggetto è un bambino, zainetto in spalla e cappello in testa che rivolge la schiena allo spettatore osservando attentamente la natura. Il dipinto vuole ricordare l’immagine leopardesca della poesia “L’infinito” dove la natura, statica e sempreterna, sprigiona forza ed energia. 




“Quello che i muri dicono”

“Quello che i muri dicono – Guida ragionata alla street art della capitale” è il libro della giornalista e scrittrice Carla Cucchiarelli. Come si evince dal titolo, che esprime in maniera saliente il contenuto del volume, non si tratta solo di una guida ma di una riflessione sulla più che contemporanea arte di strada della città di Roma.

L’autrice si è interessata alla street art in seguito alla stesura di un altro suo libro: “No, la Gioconda no” dove ha scoperto che, tra i numerosi artisti e artiste che hanno rielaborato l’iconografia leonardesca, c’erano anche alcuni street artists, come per esempio Mimì the Clown, di cui racconta il “museo di stencil con il naso rosso” realizzato nel cuore della Capitale.

Si sa, quando veniamo in contatto con cose nuove che ci stimolano interesse iniziamo a vederle ovunque. Quindi, dopo aver scoperto l’arte urbana, come è possibile non notarla in ogni angolo della Capitale?

Roma, insieme a Parigi, Berlino e Londra pullula di street art. Che si passi tra le case popolari di San Basilio o per i vicoli di Trastevere, i muri sono lì, pronti a comunicarci qualcosa.

Quello che descrive la scrittrice è un excursus dettagliato su ogni forma di contaminazione urbana.

Non tralascia gli interventi spontanei, né i disegni storici come l’asino che vola a via Tor di Nona o il graffito della spiga di grano che accompagna la scritta “Via la polizia dall’università”, realizzato durante i fermenti del ’68 all’interno della facoltà d’ Architettura Valle Giulia.

Descrive l’arte “illegale” delle pareti dei centri sociali come l’Alexis, attualmente sgomberato, di via Ostiense, la cui facciata è stata dipinta da Blu e al cui interno presenta più interventi da parte di molti artisti come per esempio Alice Pasquini e Bol; o l’arte nelle occupazioni abitative come l’ex fabbrica Fiorucci sulla Prenestina occupata e trasformata in museo contemporaneo – il “MAAM” – da artisti di tutto il mondo; fino ad arrivare a descrivere le manifestazioni autorizzate come il Festival della Poesia di Strada del Trullo dove artisti e poeti si sono riuniti per dipingere le facciate dei palazzi con disegni accompagnati dalle poesie.

 

FOTO 1. Bambina residente di “Metropoliz-Maam” davanti a un murales di Giò Pistone

 Il libro, pubblicato dall’editore Iacobelli, è stato elaborato come una guida alla street art e non segue un filo temporale bensì è sviluppato per aree tematiche. In questo modo i lettori e le lettrici possono scegliere il proprio percorso personale, iniziando a leggere il libro dall’ultimo capitolo o dal primo, a seconda di ciò che più interessa. 

Per aiutare il lettore e la lettrice a individuare l’artista e la zona di intervento, Cucchiarelli ha inserito dei sottocapitoli che anticipano di quali murales tratterà.

Molto attenta alle tematiche sociali, Carla racconta, per esempio, la coinvolgente storia del condominio-acquario di Torpignattara dipinto da Carlos Atoche. L’intervento è stato realizzato grazie alla volontà degli e delle abitanti del comitato di quartiere che, tramite un crowdfunding sono riusciti ad abbellire con la pittura un fatiscente edificio. Il murale non ha solo uno scopo estetico, l’artista ha ricreato i fondali marini dove più creature dialogano tra loro, così come il quartiere di Torpignattara contiene in sé persone dalle etnie differenti, primo fra tutti l’artista Atoche, originario del Perù.

 

FOTO 2. Etnik a TorPignattara

Inoltre il libro non si limita a descrivere il fenomeno urbano, c’è sempre una ricercata indagine sui perché e sui come, c’è un racconto documentaristico ma mai eccessivo sui personaggi che orbitano intorno ad un determinato intervento. Che sia l’artista, la committenza, o l’abitante, la sua storia viene raccontata.

Succede per Gaetano, il venditore ambulante di via Giolitti, rappresentato sulla parete da Mauro Sgarbi.

Succede per Massimo Colonna, in arte Crash Kid, writer e B-boy vissuto durante gli anni ’90 e scomparso prematuramente all’età di 26 anni, cui è stata dedicata una giornata alla sua memoria durante la quale artisti, amici e break dancer si sono radunati nel sottopasso di via Ettore Rolli e hanno dato vita a una giornata fatta di musica, danza ed arte. Rimangono a testimonianza dell’iniziativa i murales a lui dedicati e una targa alla sua memoria.

Sia che voi siate a conoscenza dell’arte urbana di Roma o che ne siate da poco appassionati, con questo libro potrete approfondire le vostre conoscenze o assimilarne di nuove.

Scritto con pura oggettività non vuole essere una critica d’arte nonostante risulti molto dettagliato e accurato nelle descrizioni.

Trattandosi di arte effimera, soggetta alle intemperie e spesso all’incuranza, rispetta il qui e ora heideggerianoe quindi, cari lettori e care lettrici, non rischiate che il tempo si porti via la libera arte che ci circonda, così come è successo per i murales di Keith Haring, ma infilate le scarpe,  prendete il libro in mano e andate a visitare questo magnifico museo a cielo aperto che Roma ci offre.

 

FOTO 3. Dettaglio di Blu su ex caserma                                                              




Outdoor Festival 2018. L’installazione di Wasted Rita

L’ottava edizione del Festival Outdoor, il più grande evento di cultura urbana a Roma, ha inaugurato sabato 14 Aprile. Ogni anno viene scelta una location differente, atta a ospitare le esposizioni di artisti provenienti da tutto il mondo e per questa edizione sono gli spazi dell’ex mattatoio che vedranno, fino al 12 maggio, non solo mostre e installazioni, ma anche mercatini, conferenze ed eventi musicali.

Il tema di quest’anno è il Patrimonio, (Heritage): “la cultura popolare di oggi, tra influenze internazionali, mass media e social network, sarà al centro di un’indagine che metterà in risalto il singolo e le proprie scelte”.

ll padiglione dedicato all’arte, curato da Antonella di Lullo e Christian Omodeo, vede la presenza di una decina di artiste/i, che hanno sviluppato, insieme al collettivo di architetti Orizzontale, quattro differenti percorsi con i quali fruitori e fruitrici possono interagire in prima persona, diventando parte integrante delle installazioni.

All’interno del percorso intitolato Disobedience, troviamo l’artista portoghese Wasted Rita, conosciuta per le sue opere urbane che pongono al centro dell’attenzione il ruolo della donna nella nostra società.

FOTO 1

L’artista ha deciso di modificare lo spazio circostante rendendolo somigliante ad una camera ardente. A terra ci sono le tipiche candele rosse delle chiese, sulla parete è esposta una corona di fiori bianchi e rosa usata per commemorare il lutto. Fogli colorati con scritte sarcastiche riguardanti la misoginia, tappezzano il resto dello spazio. L’installazione, chiamata “Il funerale del Patriarcato” vuole denunciare il machismopresente nella nostra società e, attraverso l’arte e l’ironia, combatterlo.

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Rita nasce nel 1988, è una graphic designer ed illustratrice portoghese con sede artistica a Lisbona. Ha iniziato la sua carriera con la creazione del blog Rita Bored, nel quale ha pubblicato i suoi primissimi lavori. La peculiarità di quest’artista è il suo continuo ironizzare sul sesso, sull’amore e sui social attraverso delle illustrazioni e con l’uso di semplici scritte in stampatello su fogli di carta.

Quest’ultime, che Banksy ha voluto in mostra alla collettiva Dismaland, si caratterizzano per la mancanza di una estetica nella grafia, per l’uso di frasi concise e dirette, per la quasi assenza di punteggiatura.

Negli ultimi suoi lavori usa come supporto della carta di colore fluo, quasi per accentuare l’incisività del messaggio.

FOTO 3

Prima di approdare a questa scelta troviamo il classico nero su bianco nella serie “The art of flirtingless” e una serie di lettere, “love letters”, nero su rosa, che cominciano tutte con l’asserzione “it’s not you. Ciò che caratterizza ogni serie è la grafia disordinata, le parole sono cancellate, altre sottolineate o cerchiate. Le frasi sono scritte a mano libera con la volontà di non seguire una linea dritta, così come quando scriviamo su un foglio bianco e man mano che si va avanti si pende da un lato. Tutti questi connotati fanno sì che il lavoro dell’artista risulti spontaneo e genuino. Apparentemente sembrano pensieri scritti di getto da un’adolescente sul proprio diario segreto, ma il loro contenuto di un pungente sarcasmo si pone in antitesi all’estetica: il pensiero è quello di una donna matura.

FOTO 4

Wasted Rita in occasione della mostra “Felice come triste” all’Underdogs Gallery di Lisbona, parla di “abbracciare la tristezza con un cuore leggero”, ed è proprio questa la capacità dell’artista esperta nel trattare argomenti delicati senza essere pesante.

 

OUTDOOR FESTIVAL 2018

Roma, Mattatoio Testaccio

14 Aprile – 12 Maggio

Per saperne di più:

https://www.out-door.it/

 

 

 




ROMA – I tronchi di Andrea

A parlare, quest’oggi, oggi non saranno i muri, ma le sculture urbane di Andrea Gandini, in mostra a Roma il 6-7-8 aprile.

L’artista nasce a Teramo, in Abruzzo, nel 1997 e si trasferisce con la famiglia fin dalla tenera età nella città di Roma. Intraprende gli studi artistici al liceo Ripetta, prediligendo la scultura alle altre discipline. All’età di diciotto anni anni inizia a intagliare volti sui tronchi recisi e abbandonati per le strade della Capitale.

Necessariamente la metropoli e lo spazio pubblico sono i luoghi di espressione privilegiati dall’artista, che con pazienza e dedizione fa riaffiorare la linfa vitale da un albero ormai morto.

C’è un rapporto particolare tra l’artista e il tronco che scolpisce, cosa che si evince osservando le sue sculture in strada.

Ogni opera è legata da un’estetica comune che però si diversifica di soggetto in soggetto. Questo perché ogni tronco scelto ha una storia, una sua conformazione e una propria identità. Proprio l’identità nascosta dell’albero è quella che viene rivelata.

I suoi strumenti sono la sgorbia, lo scalpello e la motosega con i quali il tronco viene scrupolosamente lavorato, assumendo i connotati umani tipici delle sue sculture.

Nasi grandi e sporgenti come personaggi dei disegni di Andrea Pazienza, lineamenti spigolosi e occhi socchiusi. Andrea Gandini risente delle influenze degli scultori quali Michelangelo, Medardo Rosso, Giacometti e Botero.

I soggetti scolpiti sono per lo più volti di uomini anziani, ritratti di personaggi austeri e dignitosi, manifestanti la senilità delle piante. Andrea Gandini è capace di trasformare l’albero in una sfinge silenziosa volta a ricordarci la sua antica funzione di sostegno all’ambiente. Come le maschere funebri egizie che celebravano il sovrano, allo stesso modo gli alberi defunti vengono commemorati.

Nel suo processo di elaborazione artistica lo scultore è capace di cristallizzare l’immagine all’interno della corteccia, lasciando immacolato l’involucro, l’antica traccia dell’albero, emblema di vita.

Un aspetto fondamentale del suo lavoro è la performance in strada.

Le creazioni sono realizzate in pieno giorno, attirando l’attenzione dei passanti che con curiosità e inizialmente anche con un po’ di stupore, si avvicinano e osservano il work in progress.

Nonostante le sculture siano alte in media non più di 70 cm, hanno la forza di rivoluzionare lo spazio circostante, rallentando la frenetica corsa del cittadino, restituendogli, in quei pochi minuti di contemplazione, il piacere e la serenità d’animo.

Essendo en plein air le sculture sono in continua metamorfosi.

I volti, soggetti alle intemperie del tempo e al deterioramento, mutano i propri connotati iniziali e le proprie espressioni.

L’effimero, tipico della Street Art, si esprime in questo processo inevitabile di trasformazione di ogni opera all’infinito, rendendola irripetibile e unica nella sua esistenza e nel luogo in cui si trova, l’hic et nunc di Walter Benjamin. Il suo lavoro si inserisce all’interno della corrente della Street Art Sculpture, un ramo che per la sua peculiarità vede pochi ma grandi artisti, come per esempio il portoghese Vhils.

L’esposizione rappresenta il post-finem. Non a caso il titolo della mostra è “Troncomorto”.

FOTO 1

I tronchi, presto o tardi, verranno tagliati per essere sostituiti da quelli nuovi. La loro destinazione non sarà più la strada, bensì lo spazio chiuso.

Proprio all’interno dello studio, Andrea ha concepito le sue prime forme artistiche. L’idea di scolpire per strada è nata per caso, osservando i tanti alberi recisi. La sua prima scultura è nata proprio accanto al suo studio, rappresentando una freccia che ne indica la posizione con un volto di uomo.

Da quel giorno ha continuato la sua attività costellando Roma con piu di cinquanta sculture, senza mai abbandonare l’attività all’interno del suo studio.

Per la sua prima mostra personale, Andrea Gandini ha scelto di lavorare il legno di quercia, un albero dal fusto alto e dal colore dorato. La quercia ha inoltre un forte valore simbolico, considerata da secoli una pianta sacra e oracolare, simboleggiante l’albero della vita nel culto Celtico.Le dieci opere realizzate per la mostra sono il frutto di un elaborato lavoro in studio, processo inevitabile per la creazione artistica.

 

 

 




Point Eyes a Centocelle

La Libertà

È il potere del ribelle

Il sogno del prigioniero

Il brivido sulla pelle

La spada del guerriero

 

La meta del pirata

La strada del viandante

La penna del poeta

La terra del migrante

 

Le ali di farfalle

La danza di una donna

Il volo in una valle

La notte che ti inganna

 

Il colore del pittore

La voce del cantante

La nota al suonatore

La cosa più importante.

 

La poesia è stata scritta da Er Pinto, poeta anonimo del Trullo e illustrata da Mattia Yest Pisauro. Insieme formano il duo Point Eyes, nato appena un anno fa, nel mese di giugno.

Il loro obiettivo è quello di unire in unico elaborato artistico tre discipline: la poesia, l’illustrazione e la calligrafia.

Er Pinto ha iniziato il suo percorso di Street Poetry con il collettivo “Poeti der Trullo”, scrivendo dal 2010 le sue poesie sui muri della Capitale.

Yest, alias Mattia Pisauro, conta nella propria produzione l’illustrazione di copertine di

artisti che hanno fatto la storia dell’hip hop a Roma.

Nel novembre del 2017 sono stati invitati a partecipare all’iniziativa “Gau, Gallerie Urbane” proposto dal “Progetto Goldstein” di Roma. L’intenzione è quella di creare una galleria a cielo aperto su ispirazione del modello lisboeta di “GAU, Galeria de Arte Urbana”.

Il primo passo del progetto ha visto il coinvolgimento di una ventina di artisti dediti a dipingere quaranta campane verdi nel quartiere di Centocelle. In questo modo si attua la trasformazione di un elemento urbano da semplice raccoglitore di rifiuti in vetro ad opera d’arte.

La campana dipinta dal duo Point Eyes rappresenta tantissime farfalle colorate volare all’interno di una gabbia che però non ha porte, solo sbarre. Questo sta a simboleggiare come le costrizioni mentali siano una gabbia creata dall’essere umano, da cui si può uscire, acquisendone consapevolezza.

 

 

 




ROMA – Murale a Casal Bernocchi

 

Di Livia Fabiani

Ci troviamo a Casal Bernocchi, periferia di Roma in direzione del mare, quando, questa estate, sulla parete della scuola elementare intitolata a Raffaella La Crociera prende vita fra i colori il ritratto di una bambina assorta a scrivere su un foglio.

Il murale è stato realizzato dall’artista Alice Pasquini, invitata dall’associazione Culturale Collettivo La Talpa.

FOTO1 LA SCUOLA E IL MURALE

È la rappresentazione della bambina a cui viene dedicata la scuola, piccola poetessa di versi romaneschi morta all’età di 14 anni. Vissuta negli anni ’50, bloccata da quasi un anno al letto per via della malattia, Raffaella era consapevole del suo triste destino. Durante l’autunno del 1954 un nubifragio si abbatte sulla costiera Salernitana, spargendo morte e dolore in ogni dove. La Rai fa un appello in tutta Italia, richiedendo cibo, vestiti e qualsiasi cosa potesse essere di aiuto alle vittime. La richiesta giunge fino alle orecchie della bambina, la quale vuole aiutare la popolazione salernitana a suo modo. Raffaella manda alla Rai una delle sue poesie: “Er zinale” ossia il grembiule, dedicandola a tutti i bambini colpiti dal nubifragio. La poesia fu messa all’asta e venduta per mezzo milione di lire, il ricavato venne destinato agli alluvionati di Salerno. Raffaella morì solo pochi giorni dopo e venne sepolta al Cimitero monumentale del Verano, vicino agli altri artisti, ricevendo il premio della bontà.

Er zinale

Giranno distratta pe casa,

tra tanta robba sfusa,

ha trovato: ah! come er tempo vola,

er zinale de scola.

Nero, sguarcito,

Un pò vecchio e rattoppato,

è rimasto l’amico der tempo passato.

Lo guarda e come se gnente

a quell’occhioni

spunteno li lucciconi,

e se rivede studente

allegra e sbarazzina

tanto grande, ma bambina.

Lo guarda e come un’eco risente

quelle voci sommesse: Presente!

Li singhiozzi, li pianti,

li mormorii fra li banchi,

e senti…senti…

pure li suggerimenti.

Tutto rivede e fra quer che resta,

c’è la cara sora maestra.

Sospira l’ècchese studente, perché sa

che a scola sua non ce potrà riannà.

Lei cià artri Professori, poverina.

Lei cià li Professori de medicina.

Alice Pasquini sceglie di non vestire Raffaella con abiti anni ’50, vuole universalizzare la sua figura dando risalto al gesto, rendendola un’icona esemplare per tutti i bambini. Il volto di Raffaella non è del tutto visibile, è china sulla pagina di un foglio dove sta scrivendo una poesia. Caratteristica principale dei dipinti di Alice è quella di far emergere i personaggi da sfondi colorati che prendono vorticosamente vita. Lo stesso soggetto non ha i colori caratteristici dell’essere umano, ma è contaminato, oniricamente, dalle tonalità che lo circondano.

FOTO2 TARGA STRADALE

A Raffaella La Crociera è dedicata una strada nel VII Municipio, in località Torre Gaia (delibera n. 358 del 26 febbraio 1999).

Foto di Annalisa Cassarino