Pittura e poesia




Un’estate nera

Si respira un’aria particolare quest’anno, il solstizio estivo non è stato dei migliori. Gli italiani hanno preso un abbaglio che li ha privati della vista per diverso tempo. La realtà è piombata come un sasso sulle loro teste dopo averli fatti attendere un mesetto per avere un nuovo governo.

E che governo!

Un presidente del Consiglio che conosce cinque lingue, ma non parla; un ministro dell’Interno che chiude i porti, nega diritti, abbandona in mare centinaia di essere umani, invece di imporsi sulla scena internazionale col dialogo costruttivo e propositvo, da grande statista.

Da due mesi siedono sugli scranni a far niente.

Hanno soltanto lasciato che alcuni provvedimenti presi d’urgenza, come quello di spostare al 23 luglio la data del concorso per 2.425 dirigenti scolastici, tanto per citarne uno,  si attuassero, incuranti degli impegni lavorativi del personale scolastico e del diritto alle ferie e al riposo degli impiegati della pubblica amministrazione, incuranti delle conseguenze delle proprie omissioni, perché, per far danni, non sempre è necessario agire.

Dibattito? Nuove proposte? Attività legislativa? Tutto fermo.

Un governo giallo-verde, dunque. Al verde come le tasche degli italiani, che un’estate così strana non pensavano di vederla nemmeno col cannocchiale.

E invece giallo-verde e… Blu! Dall’altra parte dell’oceano Trump separa coattamente 3.000 bambini messicani dai genitori.

In Turchia Erdogan censura e imprigiona  giornalisti negando libertà di parola ed espressione.

In Ungheria fanno cernite razziste e costruiscono barricate.

E non sappiamo quando, quest’estate nera e bollente come la pece  smetterà di distruggere vite umane.

Non sappiamo se questa nera estate, sorta al motto: “Gli italiani prima di tutto”, lascerà sopravvivere qualcuno nella scarsa considerazione che si ha del prossimo, da quello simile e più vicino a quello più lontano e diverso, nella incuria che si ha dell’altro con le sue esigenze, con le sue necessità, con la sua diversità, della sua dignità.

Perché a fare i buffoni, a strillare siam bravi tutti, ma le buone azioni non le abbiamo ancora viste.

Adesso, teniamoci stretto uno dei pochi diritti che ci restano, quello di godere di due settimane consecutive di vacanza, con la speranza che la nostra vita cambi presto colore.

Buone vacanze e arrivederci a settembre.

 

 

 

 




Sulle strade genovesi. Il fascino della storia e il bisogno di realtà

Di Francesca Di Caprio Francia

La toponomastica genovese rappresenta non solo un accumulo di memorie passate, ma anche un’operazione culturale di recupero storico realizzata dalla Giunta Municipale poco dopo l’Unità d’Italia. Determinante fu, in tale circostanza, l’apporto di un erudito, Giuseppe Banchero (1815-1874), che esercitava allora l’incarico di funzionario del catasto (catastaro), i cui ideali patriottici chiariscono molte sue scelte. Lo spirito con cui lo studioso propose le nuove denominazioni, infatti, si basava sul recupero di memorie e glorie municipali, in un’ottica di patria esaltazione e di glorificazione di miti nazionali.

Si spiegano così il gran numero di cognomi di antiche famiglie nobiliari, i nomi delle colonie d’oltremare e delle battaglie vinte dai Genovesi, i molti termini legati alle recenti vicende risorgimentali. Banchero creò dunque quel complesso toponomastico di indubbio fascino che ancor oggi dà l’impressione, a chi lo percorre, di attraversare pagine di storia.

Infine, con la proclamazione della Repubblica, si decise di valorizzare episodi e figure della Resistenza e negli ultimi cinquant’anni si incrementò la serie commemorativa, anche con nomi stranieri, di filosofi, poeti, cantautori… il che talvolta induce a proporre personaggi semi-sconosciuti. Sta di fatto che si è andato via via costruendo un immaginario collettivo abitato solo da uomini e, d’altra parte, a mio parere, è forse meglio così piuttosto di vederlo soffocato da anonimi numeri come in uso nelle città d’oltre oceano. Sono però fiduciosa che le cose, con il tempo e la buona volontà, possano e debbano migliorare. È stato così? 

Passeggiando per Genova ci si accorge subito che le strade intitolate alle donne sono ben poche, anche se rimarco la difficoltà di fare calcoli esatti per vari motivi, quali l’uso di riportare negli elenchi cittadini il cognome privo del nome o con la sola iniziale, collocare lo stesso nome sotto lettere alfabetiche diverse (es. Santa Chiara e Chiara Beata); inoltre i nomi di famiglie patrizie possono riferirsi a diverse persone anche femminili (es. via Brignole De Ferrari ricorda le due benefiche famiglie imparentate con il matrimonio di Maria Brignole Sale e Raffaele De Ferrari), alcune strade sono scomparse o sono nuove oppure mutate nell’intitolazione (l’attuale piazza Giacomo Matteotti già piazza della Signoria, poi piazza Nuova, in seguito Umberto I e infine Ettore Muti), per concludere sorridendo con piazza Battistina Rivara a Rivarolo che è invece intitolata… a un uomo, il fondatore del locale asilo, appunto Battistino Rivara!

Nel libro Genova risorgimentale di Leo Morabito risultano inserite solo una decina di donne, incluse quelle ricordate non per la dedica di una via ma per la casa dove vissero, come Bianca Milesi Mojon con abitazione in via Balbi, o Teresina Schenone con bottega in via XXV Aprile.

Nella recente Guida alla toponomastica risorgimentale curata da Nicolò Bonacasa, l’autore presenta, tra gli oltre cento personaggi elencati ai quali Genova ha dedicato una via o una piazza, solo sei donne (Carolina Benettini, Adelaide Bono Cairoli, Anita Garibaldi, Antonietta Mazzini Massuccone, Giuditta Tavani) mentre Maria Drago Mazzini è ricordata con un busto in bronzo e la dedica di una scuola.

Tre sole tra le tante donne presentate nel mio ultimo libro, risultano elencate in uno Stradario di Genova: Santa Limbania, Santa Caterina Fieschi Adorno e Virginia Centurione Braccelli.

Se si considerano esatti i dati forniti dal Comune di Genova esistono a Genova 3800 strade/vie/piazze ecc. delle quali 1507 intitolate a uomini e 136 a donne con il significativo rapporto del 39% di maschi contro il 3% di donne!

Quaranta risultano dedicate alla Madonna e quarantadue a sante e beate, di preferenza scalinate e salite forse con intento figurativo e simbolico; sarebbe bello che analoga finalità suggerisse anche di ricordare, ad esempio, maestre di vita, educatrici, donne impegnate nel sociale che sicuramente hanno indicato la via a molte generazioni.

Tralascio i numerosi altri esempi di sessismo maschilista nella toponomastica perché mi sembra più utile essere propositiva con possibili iniziative, qualcuna già attuata.

È noto che le storie delle donne sono spesso storie frammentarie, storie dimenticate o addirittura rimosse o cancellate: ebbene, per rompere questo velo che le avvolge, si potrebbero raccogliere biografie femminili che possano ispirare ed essere d’esempio; a tal fine si potrebbe anche proporre un concorso, e non solo per scuole – come già fa l‘associazione Toponomastica femminile con il concorso didattico Sulle vie della parità, patrocinato da istituzioni nazionali e giunto ormai alla sua sesta edizione – mirato a individuare e proporre nuovi nomi.

Incontri, conferenze attive, gruppetti di lavoro potrebbero svegliare da una sonnacchiosa indifferenza tante donne facendo loro conoscere, o presentando loro stesse, azioni e opere di semplici donne benemerite, frutto di fatica, ingegno, talento, solidarietà: esse propongono un nuovo modo di stare insieme, un modo che tenga conto della diversità femminile e delle proprie attitudini.

Al Convegno nazionale, indetto annualmente da “Toponomastica femminile”, si potrebbe aggiungerne un incontro a carattere regionale o locale; mostre fotografiche, anche itineranti, sul lavoro delle donne nel passato e nel presente; un premio che valorizzi la loro creatività espressa attraverso la rete lodando accuratezza e approfondimento dell’informazione; dopo Roma, Terni, Palermo, Versilia, Pistoia, Albano Laziale, Valdinievole (già realizzati direttamente dalle associate a Toponomastica femminile o con un loro diretto contributo),  nuovi itinerari lungo i luoghi che mantengono ricordi e tracce di donne protagoniste (il nostro centro storico con i suoi immediati dintorni ne è particolarmente ricco); dialogo aperto con le Amministrazioni per proporre e sostenere nuove intitolazioni… Queste e tante altre iniziative di toponomastica femminile possono essere proposte poiché in continuo divenire in quanto si arricchiscono di volta in volta con ulteriori progetti, suggerimenti, spunti, collegamenti, tenendo ben presente che la quantità non vada a scapito della qualità. E non si venga a dire che non ci sono donne genovesi, di ieri o di oggi, cui dedicare una via, una piazza o comunque un luogo che rappresenti il loro ricordo: maliziosamente posso far presente che i libri, come il presente, ci sono anche per questo…




Liliana Segre senatrice a vita. “La scelta sorprendente” di Mattarella

“Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, colleghi senatori, prendendo la parola per la prima volta in quest’Aula non posso fare a meno di rivolgere innanzitutto un ringraziamento al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il quale ha deciso di ricordare l’ottantesimo anniversario dell’emanazione delle leggi razziali, razziste, del 1938 facendo una scelta sorprendente: nominando quale senatrice a vita una vecchia signora, una persona tra le pochissime ancora viventi in Italia che porta sul braccio il numero di Auschwitz.

Porta sul braccio il numero di Auschwitz e ha il compito non solo di ricordare, ma anche di dare, in qualche modo, la parola a coloro che ottant’anni orsono non la ebbero; a quelle migliaia di italiani, 40.000 circa, appartenenti alla piccola minoranza ebraica, che subirono l’umiliazione di essere espulsi dalle scuole, dalle professioni, dalla società, quella persecuzione che preparò la shoah italiana del 1943-1945, che purtroppo fu un crimine anche italiano, del fascismo italiano.

Soprattutto, si dovrebbe dare idealmente la parola a quei tanti che, a differenza di me, non sono tornati dai campi di sterminio, che sono stati uccisi per la sola colpa di essere nati, che non hanno tomba, che sono cenere nel vento. Salvarli dall’oblio non significa soltanto onorare un debito storico verso quei nostri concittadini di allora, ma anche aiutare gli italiani di oggi a respingere la tentazione dell’indifferenza verso le ingiustizie e le sofferenze che ci circondano. A non anestetizzare le coscienze, a essere più vigili, più avvertiti della responsabilità che ciascuno ha verso gli altri.

In quei campi di sterminio altre minoranze, oltre agli ebrei, vennero annientate. Tra queste voglio ricordare oggi gli appartenenti alle popolazioni rom e sinti, che inizialmente suscitarono la nostra invidia di prigioniere perché nelle loro baracche le famiglie erano lasciate unite; ma presto all’invidia seguì l’orrore, perché una notte furono portati tutti al gas e il giorno dopo in quelle baracche vuote regnava un silenzio spettrale.

Per questo accolgo con grande convinzione l’appello che mi ha rivolto oggi su «la Repubblica» il professor Melloni. Mi rifiuto di pensare che oggi la nostra civiltà democratica possa essere sporcata da progetti di leggi speciali contro i popoli nomadi. Se dovesse accadere, mi opporrò con tutte le energie che mi restano.

Mi accingo a svolgere il mandato di senatrice ben conscia della mia totale inesperienza politica e confidando molto nella pazienza che tutti loro vorranno usare nei confronti di un’anziana nonna, come sono io. Tenterò di dare un modesto contributo all’attività parlamentare traendo ispirazione da ciò che ho imparato. Ho conosciuto la condizione di clandestina e di richiedente asilo; ho conosciuto il carcere; ho conosciuto il lavoro operaio, essendo stata manodopera schiava minorile in una fabbrica satellite del campo di sterminio. Non avendo mai avuto appartenenze di partito, svolgerò la mia attività di senatrice senza legami di schieramento politico e rispondendo solo alla mia coscienza.

Una sola obbedienza mi guiderà: la fedeltà ai vitali principi ed ai programmi avanzatissimi – ancora in larga parte inattuati – dettati dalla Costituzione repubblicana. Con questo spirito, ritengo che la scelta più coerente con le motivazioni della mia nomina a senatrice a vita sia quella di optare oggi per un voto di astensione sulla fiducia al Governo.

Valuterò volta per volta le proposte e le scelte del Governo, senza alcun pregiudizio, e mi schiererò pensando all’interesse del popolo italiano e tenendo fede ai valori che mi hanno guidata in tutta la vita.”

Liliana Segre, Senato della Repubblica, 5 giugno 2018




Trentotto anni d’emergenza: le mani sui terremoti

I terremoti In Italia possono considerarsi un’emergenza in tutti i sensi, perché quando la terra trema non crollano solo le case, ma da essa emergono anche mostruosità: il malaffare, la delinquenza, la mafia, la piovra che avvinghia gli appalti.

Quando le calamità si susseguono a distanza di pochi anni la morsa si fa più stretta e uscirne è quasi impossibile.

In Basilicata distribuiscono ancora finanziamenti per i terremoti del 1980 e del 1990. Dopo trentotto anni, le case, dove la gente ha continuato a vivere, sono considerate inagibili o pericolanti e chi è in grado di procurarsi una relazione tecnica che lo attesti percepisce ancora oggi finanziamenti pubblici per la ristrutturazione, mentre gli ultimi terremotati continuano a dormire nelle roulotte, al gelo e al caldo insopportabili, in condizioni igieniche indicibili.

Durante gli anni si sono inseriti interessi loschi  che hanno dirottato i fondi verso aree che non ne hanno diritto, moltiplicando il numero dei comuni colpiti.

Mentre si finanzia l’edilizia privata chiudono gli ospedali sostituiti da piccoli centri di assistenza o di recupero.

Il terremoto del 2002 a San Giuliano di Puglia confermò che la messa in sicurezza degli edifici pubblici avviene solo a tragedia conclusa mai per prevenirla.

Del terremoto che nel 2009 colpì l’ Abruzzo si parlò tanto per lo sperpero dei finanziamenti europei.

A Sud la Camorra e il clientelismo, a Nord l’ ‘ndrangheta. I soldi viaggiano tra gli sportelli delle banche cooperative raggiungendo le imprese del settentrione e moltiplicando i costi per le infrastrutture.

A Modena, dal 2012, gli appalti pubblici sono ormai patrimonio della ‘ndrangheta, la criminalità organizzata è affiorata in superficie rendendo una delle città più vivibili d’Italia un inferno.

La faglia, che aprendosi ha scosso l’Umbria e le zone limitrofe nel 2016 ha lasciato centinaia di persone senza un tetto.

Centinaia di ragazzi sull’isola di Ischia attendono di ritornare a studiare nelle aule delle scuole chiuse dopo il terremoto dell’estate scorsa.

Le risorse vanno sempre nella direzione e nelle mani sbagliate. Perché dopo trentotto anni si aprono ancora cantieri e si continua a considerare emergenza e di primo intervento una situazione che non richiede provvedimenti urgenti e finanziamenti, mentre altrove la gente sopravvive negli accampamenti in pessime condizioni igieniche?

La legge anticorruzione e il Codice degli appalti in Italia non bastano.  In poco più di un decennio il verificarsi di continue catastrofi ha reso evidente la necessità di una gestione diversa dei fondi per le emergenze, di verifiche idonee e professionalità imprenditoriale.

E mentre in questi giorni i neoeletti non riescono neppure a formare il governo e si preoccupano della propria fama, di scrivere nere e inutili pagine di storia, a discapito della specie umana e dell’ambiente, l’unico uso sensato che si potrebbe fare di carta e calamaio sarebbe la stesura di nuove norme per frenare questo scempio e aiutare concretamente gli italiani a rinascere dalle macerie.

 

 




Partiti sotto la soglia del 10%, gli italiani festeggiano con la grigliata

Dopo le elezioni in Molise, i risultati hanno parlato chiaro. Il Movimento Cinque stelle perde voti, non solo nella piccola regione. I 31 punti percentuali hanno fatto contenti i cretini, quelli che hanno festeggiato la vittoria pirrica degli avversari, mentre tutti gli altri non hanno avuto il coraggio di dichiarare lo stato di emergenza in cui si trova la democrazia in Italia, visto che i partiti sono scomparsi sotto la soglia del 10%: Forza Italia 10%; Partito Democratico 9%; Lega Salvini Molise 8%; Fratelli d’Italia 4%.

Il paese è fermo e a rischio. La vita amministrativa è in coma. Alla crisi economica si è aggiunta quella politica.

Il Presidente Mattarella non sa che pesci prendere, temporeggia.

Servirà tornare al voto con una legge elettorale che non funziona? Se avesse vinto il Sì al referendum, se avessimo votato per la nuova legge elettorale proposta dal Governo Renzi le cose sarebbero andate diversamente?

La crisi politica non si risolve tagliando poltrone. Non si risolve mutilando gli organi di governo, accentrando il potere nelle mani di un numero sempre più ristretto di politicanti. La legge elettorale di Renzi ci avrebbe condotto alla stessa situazione che stiamo vivendo in questi giorni, con un rischio maggiore: quello di facilitare un golpe.

Ma per gli italiani ogni giorno è buono per fare una grigliata anche il 25 Aprile più amaro della storia dell’Italia repubblicana.

C’è chi va al mare, chi in montagna, chi al centro commerciale, chi al concertone, per consumare pure questo giorno, chi si trastulla sui social per fuggire e nascondersi dietro un’identità digitale, invece di incontrare gli altri e riorganizzarsi. Perché al voto non si potrà andare nelle stesse condizioni di marzo, con gli stessi volti, con gli stessi nomi, con gli stessi cretini, con gli stessi ladri.

Qualsiasi legge elettorale senza gli italiani, senza la società civile, non servirebbe.

Questa dovrebbe diventare l’occasione per riprendersi il futuro.

Il popolo sfruttato, disoccupato, sfibrato dall’inutile ricerca e dall’attesa di una promessa che non si realizza,  è stanco? Da maggio lo sarà di più.

Oliamo e facciamo funzionare la democrazia o gli italiani saranno spacciati. Resta poco da consumare, abbiamo mangiato anche le scorze.

 

 

 




Dove l’inglese non è british

Sarà che quando un inglese o un nordico qualsiasi ama la cultura italiana e decide di trasferirsi nel Bel Paese ne accetta anche la mafiosità, sarà che il contatto con il nostro paese macchia anche loro, sta di fatto che le scuole di lingua inglese in Italia non sono trasparenti ed efficaci come dovrebbero. Un manager italiano o inglese inserito nell’english  business non fa la differenza.

Corsi erogati senza fatturazione, programmi e metodi lontani mille miglia dall’efficacia didattica e, quando il corso è fatto pagare attraverso un finanziamento, l’imbroglio si sposta su altri piani: promozioni attraenti per truffare la gente (biglietti aerei in omaggio, lezioni gratuite e numerose trovate accattivanti).

C’è anche l’inglese che fonda associazioni culturali, che tali non sono, per vendere corsi teatrali e campi estivi in Italia e all’estero.

Gli inglesi nel nostro paese non si fanno mancare nulla e il fenomeno è evidente nelle regioni in cui le lingue sono più studiate.

Milioni di introiti a nero e un’offerta didattica scadente di cui solo il Miur non è a conoscenza. Gli altri tacciono. Soprattutto quelli per cui pagare la retta della scuola privata inglese per il proprio figlioletto è molto chic, pertanto, perché denunciare? Anzi, se non fatturano risparmio e faccio il figo.

Proprio quelli che, quando si tratta di scuola pubblica, spianano la strada ai propri figli insultando i docenti: tanto non si paga, il dirigente non risponde con il suo avvocato e incolpa il docente che non adirà le vie legali e così la passo liscia e ottengo quello che voglio.

Questa è l’Italia. Questo è il paese dove la delinquenza si fa internazionale sostenuta dalle istituzioni che approvano le leggi senza riordinare il sistema. Perché, è ormai noto, ci sono il Clil e la Carta del docente, i punteggi per i trasferimenti assegnati a chi ha le certificazioni linguistiche, i punteggi per i concorsi pubblici… Dunque,  ci sono le scuole di lingua accreditate dal Miur per l’utilizzo della Carta del docente. Ma secondo quali criteri? Resta un mistero. Di sicuro non quelli della trasparenza e dell’efficacia.

Oltre a  finanziare le scuole paritarie, il Ministero della Pubblica Istruzione in Italia ha creato un losco indotto economico per le scuole private di lingue straniere, l’inglese è solo la più studiata e praticata, costringendo il proprio personale ad alimentarlo. Vergogna!

Questa è solo una delle possibili fotografie dell’Italia dei ricatti.

 

 

 

 

 

 







Oltre la piazza: Modena parking

 

Se pensi che la vita abbia un senso se non trascendentale almeno concreto, sei capitato nella città sbagliata.

Se pensi che pagando le tasse comunali ti spetti di diritto un posto dove poter parcheggiare la tua auto senza subire atti vandalici, inizia anche a pensare di cambiare città.

Perché a Modena  non puoi proprio lasciare l’auto e rimanere tranquillo.

Non puoi nemmeno fartene una ragione attribuendo la colpa della tua preoccupazione alla caotica vita cittadina tipica di una grande città, di una metropoli, perchè Modena non lo è.

Puoi solamente avvelenarti il fegato quando vai a riprendere l’auto e la trovi sfregiata con raschi e ammaccature di dimensioni varie.

Puoi ammalarti di gastrite a forza di pagare multe per la segnaletica impazzita.

Possedere un auto a Modena costa più di quanto dovrebbe.

Guardiamo questo tratto di via Francesco Selmi.

Un senso di qua

E l’altro in direzione opposta, verso il semaforo posizionato all’estremità della stessa strada.

Ma quello che proprio non va sono i divieti di sosta. Ci sono e nessuno li rispetta. Incomincia così il dramma del povero visitatore che, non conoscendo le zone e chi vi abita, pensa che anche questi segnali siano stati posizionati erroneamente.

Sarà vero? Si domanda, senza poter ricevere risposta.

La multa è assicurata. L’unica cosa certa in una vita senza senso.

Qualcuno si vendica imbrattandoli con la vernice, ma niente, l’illegittimità regna sovrana e non l’annulli con nessun mezzo.

Con un’amministrazione comunale assente diventa legittimo creare la propria segnaletica. Ed ecco che qualcuno delimita il proprio posto auto abusivo.

Questa è la situazione in via San Paolo, a due passi da Piazza Grande e dalla Ghirlandina, patrimonio dell’Umanità.

A cosa servono queste videocamere? Soltanto a multare i residenti che non pagano il pass per transitare  e per parcheggiare! Nel centro storico. Un modo come un altro per fare cassa e non fornire servizi.

I ciottoli del selciato sono gli stessi della piazza ma, la tutela ambientale e dei cittadini, il benessere, finiscono dove termina il marketing per il turismo.

 

Dove saranno finiti i vigili urbani? Cosa fa tutto il giorno la polizia municipale di Modena?

Questo resta un grande mistero.

Il confronto con altre città nasce spontaneo: pensiamo alla vigilata, ordinata, pulita e ben gestita Verona.

Eppure i modenesi si paragonano ai veneziani. “Anche a Modena c’erano i canali”, dicono. “Modena era come Venezia”. Era.. Secoli fa!

Sta di fatto che i veneti la segnaletica non l’hanno venduta.

 

Ed ecco qui le strisce abusive grigie, metallizzate e  fluorescenti in via San Paolo.

 

Queste, invece, sono strisce e segni lasciati con tutt’altra finalità sull’auto del malcapitato che ha parcheggiato dove non doveva.

Diciamolo pure, Modena lascia il segno!

Insomma, più che un “Modena Park” sarebbe servito e servirebbe un Modena parking!  Sicuramente la vita avrebbe un senso, almeno per chi si sposta in auto!




Speciale 8 marzo

Impagine torna online con un numero speciale per l’8 marzo, Giornata internazionale delle Donne.

La rivista, colpita da un hacker, è stata restaurata e ha trovato nell’associazione Toponomastica femminile la partner per questa nuova iniziativa.

Il sito ha dato spazio a  diverse rubriche. Notevoli gli approfondimenti sulla storia delle donne e su questioni a loro legate, che resteranno a corredo del settimanale.

La scelta di insistere sull’universo femminile deriva dall’emergenza di comprendere i frequenti episodi di violenza verificatesi negli ultimi mesi e, in qualche modo, contribuire ad arrestarli. Ma anche dal desiderio di accendere i riflettori sul contributo che nel corso dei secoli le donne hanno dato allo sviluppo della società.

Esigenze molteplici e circostanze favorevoli hanno dunque dato vita a questa nuova veste, che ci auguriamo possa interessare i nostri lettori e le affezionate lettrici.

Buon otto marzo.