Effetto Mondiali

La foto di una giovane supporter che esulta per il gol della propria squadra, con il volto dipinto e un bel tutù con i colori nazionali è un’immagine usuale durante tutti gli eventi sportivi. Ai Mondiali FIFA 2018 in Russia se i colori sono verde bianco e rosso della Repubblica islamica dell’Iran, le cose cambiano. 

La foto scattata da Frank Augstein dell’AP, ritrae due fan della nazionale durante il match Iran-Portogallo, e la tifosa non indossa come impone la legge iraniana, l’hijab obbligatorio per presentarsi in pubblico. L’osservazione più ovvia è quella che la legge vale nel proprio Paese, dove vige la norma, ma appena fuori dei confini, moltissime si tolgono il velo. Certo, è così, ma la foto ci permette di riflettere meglio su come lo sport, la sua pratica e anche il tifo calcistico, attività quotidiane e banali, siano traguardi importanti da raggiungere in alcuni Stati.

epa06825289 Supporter of Iran cheers prior to the FIFA World Cup 2018 group B preliminary round soccer match between Iran and Spain in Kazan, Russia, 20 June 2018.
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FOTO 1. Primo piano di una tifosa

La qualificazione dell’Iran per la fase finale della Coppa del Mondo riveste un ruolo significativo per le donne iraniane. La separazione tra i sessi nella sfera pubblica in Iran è anche per le partite di calcio. Una legge non scritta, ma la consuetudine e la prassi nella repubblica islamica hanno impedito alle donne di partecipare a eventi sportivi pubblici negli stadi; ragione dichiarata: per motivi di sicurezza.

Appena lo scorso aprile, cinque giovani donne avevano dovuto travestirsi con tanto di baffi e barba per tifare Persepolis, quasi come nel film Offiside di Jafar Panahi, Orso d’Oro al Festival di Berlino nel 2006. Il loro gesto, insieme a quello di tante prima di loro, arrestate o esuli dal Paese, che hanno messo in pericolo la propria incolumità per conquistare il diritto allo stadio nel corso degli anni, ha cambiato le cose. 

Il capitano della nazionale di calcio iraniana proprio in vista delle partite mondiali ha invitato il presidente Hassan Rouhani a togliere il divieto di ingresso negli stadi alle donne. Così, quarant’anni dopo, le donne hanno avuto, se non riavuto, il diritto vero e proprio, l’opportunità, il permesso o la concessione che ciascuna scelga di tifare apertamente sugli spalti di uno stadio. 

Era dal 1979, primo anno della rivoluzione islamica, che le porte dello stadio di Teheran, lo stadio della Libertà (Azadii), non si aprivano per le supporter dell’Iran. La nazionale impegnata mercoledì 20 giugno contro la Spagna ha avuto donne festanti che hanno potuto sventolare la bandiera, inviare foto e video dai cellulari, riprendersi con i volti dipinti. Il tutto amplificato dai grandi videowall dello stadio, come ogni evento e partita che si rispetti. 

Il preludio per rivedere le donne di nuovo negli stadi, ripristinando la prassi, non potendosi abolire la norma non scritta. Iran versus Spagna ha visto la sconfitta dell’Iran, e non ha passato le eliminatorie, ma poco importa. La gioia del gol contro il Portogallo della giovane iraniana, virale nei social, non può che farci sperare come l’anonimo commento su Reddit che dice: “Un gesto spavaldo, ma che bello, e tanti auguri!” Auguri a voi, tifose dell’Iran.

FOTO 2. Tifosa iraniana ai Mondiali Russia 2018

http://emirateswoman.com/heres-why-this-iranian-football-fan-is-going-viral/

https://www.vanityfair.it/sport/calcio/2017/06/21/iran-donne-stadio

https://it.wikipedia.org/wiki/Jafar_Panahi




La bomba sorrentina

Sicuramente lo è, una “bomba”, non soltanto per l’aspetto o per la carica calorica, quanto per l’espressione di sorpresa che vedrete sul volto di chi avrà la fortuna di assaggiarla.

Non è difficile da realizzare, io l’ho preparata in 10 minuti. Sono sola in casa, oggi, e mi ero appena accinta a pranzare con un’ovolina e una mezza porzione di gnocchetti alla sorrentina avanzati dalla cena di ieri sera quando… ho deciso di sperimentare una preparazione che avevo visto in tv qualche tempo fa (loro la farcivano con una forchettata di spaghetti, ma gli gnocchetti mi sono sembrati una splendida alternativa!).

Dunque questo è il procedimento sperimentato oggi: 

Ho scaldato l’ovolina in una piccola ciotola nel microonde a 165 W per 3/4 minuti. 

L’ho estratta dal forno appena prima che si “sedesse” e, ancora tiepida, l’ho aperta appena appena con le dita allargando delicatamente l’apertura. 

L’ho farcita con un paio di cucchiaiate di gnocchetti ben accompagnati da parecchi dei mezzi pomodorini di condimento. Ho aggiunto una foglia di basilico spezzettata e una spolverata di pepe. 

Ho restituito la forma rotonda alla mozzarellina modellandola con le mani: quando la mozzarella è tiepida diventa facile lavorarla come se fosse creta. 

L’ho richiusa premendo bene tra le dita i bordi dell’apertura praticata prima. 

L’ho quindi asciugata bene con un tovagliolo di carta. 

Ho disposto della farina, un uovo sbattuto con il sale e del pangrattato mescolato a un trito grossolano di mandorle pelate In tre piccole ciotole. 

I passaggi sono quelli della solita panatura delle cotolette:

– mozzarella (ben asciutta) nella farina

– poi nell’uovo 

– e quindi nel pangrattato (prima panatura)

per poi ripetere il passaggio nell’uovo e quello nel pangrattato (siamo alla seconda panatura).

Ho ripetuto infine per l’ultima volta il passaggio in uovo e pangrattato. 

In totale dunque una panatura tripla.

Ho scaldato l’olio di semi di girasole necessario a farla galleggiare in un pentolino stretto e aiutandomi con un cucchiaio (rischiereste di ustionarvi, lasciandola cadere) ho delicatamente immerso la mia piccola bomba una volta raggiunta la temperatura (circa 170°) giusta per la frittura. 

E adesso… godetevela, è davvero fantastica!

Gli gnocchetti alla sorrentina della sera prima

500 gr di pomodorini pachino lavati e tagliati a metà

Basilico abbondante

Olio evo, aglio e peperoncino 

500 gr di gnocchetti di patate (le “chicche”) 

Una mozzarella

In un tegame scaldare l’olio con l’aglio tagliato a fettine e il peperoncino. Quando sentirete sprigionarsi l’aroma di aglio, versate i pomodorini, fateli saltare a fuoco vivo, salateli con sale grosso, e sempre mescolando cuocete finché il fondo di olio sarà diventato rosato e “cremoso”.  Profumate con il basilico e aggiustate di sale dopo aver assaggiato. Spegnete il fuoco quando i pomodorini saranno appassiti e cremosi ma ancora sani.

Tagliate a pezzettoni la mozzarella.

Dieci minuti prima di cena cuocete gli gnocchetti in acqua salata. Nel frattempo, rimettete il tegame con i pomodori sul fuoco. 

Aiutandovi con una schiumaiola scolate gli gnocchetti appena vengono a galla e aggiungeteli direttamente nel tegame dei pomodori. Mescolate velocemente, aggiungete altro basilico e solo all’ultimo la mozzarella tagliata a pezzettoni con tutto il latte rimasto sul fondo del piatto.

Servite immediatamente.




Il genere della salute

L’approccio “neutrale” della medicina, “indifferente‟rispetto alla differenza sessuale, si è evidenziato a lungo nell’ambito della sperimentazione dei farmaci. La ricerca biomedica nei decenni trascorsi ha teso a riflettere prevalentemente una prospettiva maschile, assimilando la donna all’uomo, fatte salve alcune particolari specializzazioni. Molti ricercatori e medici in taluni capitoli della patologia umana non hanno tenuto adeguatamente in considerazione le differenze tra i sessi per quanto riguarda lo studio delle sintomatologie, l’accertamento delle diagnosi e l’efficacia dei trattamenti.
Tale mancata considerazione delle differenze sessuali si inserisce nell’ambito di una ricerca che tende alla generalizzazione dei fenomeni organici, anch’essa peraltro necessaria, non prestando sempre sufficiente attenzione alle differenze, oltre che di sesso, anche di età (si pensi ai minori e agli anziani), di disabilità e di etnicità. È doveroso tuttavia segnalare che non solamente una clinica più “matura”, ma anche una ricerca più attenta, offrono sempre di più esempi di maggiori equilibri nella formulazione dei protocolli e i relativi arruolamenti dei soggetti. Inoltre, una medicina di genere assume un valore importante non solo per l’appropriatezza delle cure, mirate per ogni individuo, ma anche per il risparmio di risorse che ne deriva. Negli anni Settanta e Ottanta del Novecento negli Stati Uniti ci si rese conto che per l’erronea convinzione della perfetta equivalenza tra i sessi in campo medico, le donne non ricevevano terapie adeguate. Grazie a ricercatrici come Marianne J. Legato, fondatrice e direttrice della Partnership for Gender-Specific Medicine presso la Columbia University, si intraprese un’azione di stimolo per includere le donne nei trial clinici. L’idea era quella di andare oltre la salute prettamente femminile, di considerare le altre patologie oltre quelle che affliggono il sistema riproduttivo e analizzare, oltre ai fattori biologici, anche quelli socioculturali. Con il passare degli anni è risultato evidente che ciascun genere deve essere considerato per la sua specificità, sia per valutare il modo in cui si sviluppa una patologia, sia nella ricerca e nella sperimentazione di nuovi farmaci. Dal punto di vista farmacologico il genere influenza sia il percorso dei farmaci all’interno dell’organismo (farmacocinetica), sia il loro meccanismo d’azione (farmacodinamica). Inoltre, variabili importanti per valutare l’azione dei farmaci come peso e altezza, volume e distribuzione corporea sono diverse nei due sessi, ad esempio i farmaci che hanno una maggiore affinità per i grassi (farmaci lipofili) hanno un volume di distribuzione più ampio nelle donne a causa della presenza maggiore di grassi (circa il 25%) nel corpo femminile rispetto a quello maschile. Nel 1994 negli Stati Uniti venne istituito presso la Food and Drug Administration  un ufficio dedicato, denominato Office of Women’s Health, con l’obiettivo di favorire l’inclusione delle donne negli studi clinici, valutando le differenti risposte per l’efficacia e la sicurezza dei farmaci. Nel 1995 le indicazioni precedenti vennero ulteriormente rafforzate nel documento Investigational New Drug Applications esigendo esplicitamente nella sperimentazione la non discriminazione per sesso, oltre a età e razza. Nell’ambito della sperimentazione clinica dei farmaci le donne risultano essere “soggetti deboli”, o comunque non oggetto di adeguata considerazione in ordine alla loro specificità sia in senso quantitativo (numero di donne arruolate rispetto al numero di uomini) sia in senso qualitativo (analisi dei dati rispetto alla differenza sessuale).  Le aree di criticità e svantaggio delle donne si evidenziano, in particolare, nell’ambito delle sperimentazioni di farmaci per patologie non specificamente e tradizionalmente femminili (anche se scarsi sono i dati riportati, proprio a conferma di tale disinteresse). La maggior parte delle sperimentazioni non prevede una differenza tra maschi e femmine al momento dell’arruolamento e dell’analisi dei dati. La percentuale di donne reclutate nella sperimentazione, confrontata con quella degli uomini, rimane bassa: si parla di “inappropriatezza rappresentativa‟o “sottorappresentazione‟delle donne. Il dosaggio dei farmaci è in genere misurato su uomini (di peso standard di 70 kg) e la donna è considerata una “variazione‟del modello maschile.
Resta il fatto che il cammino che un farmaco intraprende una volta entrato nell’organismo e il tempo che impiega per essere assorbito sono diversi nei due sessi. Ad esempio, studi recenti hanno dimostrato che alcuni farmaci utilizzati nel trattamento dell’ipertensione come i calcio-antagonisti, sembrano più efficaci nelle donne, mentre gli aceinibitori riducono la mortalità tra gli uomini ma non tra le donne[1].
Un altro esempio significativo riguarda l’aspirina che è usata sia per uomini che per donne come prevenzione di patologie cardiovascolari, ma che induce reazioni avverse nelle donne con percentuale superiore, a causa di una differenza nella coagulazione del sangue[2].
Similarmente, nella terapia della depressione, le donne sembrano rispondere meglio agli inibitori della ricaptazione della serotonina (SSRI) mentre gli uomini trarrebbero maggiori benefici con gli antidepressivi triclici (TCA) e questo perché la capacità di legame delle proteine plasmatiche mostra differenze di genere nel senso che le donne sono caratterizzate da una minore concentrazione plasmatica di proteine rispetto agli uomini. Questa differenza riveste una certa importanza per vari composti psicotropi: infatti, sebbene le capacità di legame alle proteine plasmatiche sia molto variabile tra i vari farmaci, la maggior parte degli ansiolitici, ad esempio, ha un’alta capacità di legame proteico[3].
Per quanto riguarda il nostro Paese il  Ministero della Salute nel 2005 ha varato il  progetto “La salute delle donne” da un tavolo tecnico istituito presso la Segreteria del Sottosegretariato alla Salute. Ad esso hanno partecipato l’Istituto Superiore di Sanità, l’Agenzia Italiana per il Farmaco, l’Agenzia per i Servizi Sanitari Regionali e la Società Italiana di Farmacologia. Il progetto ha ottenuto nel 2007 finanziamenti per la ricerca nell’ambito della medicina di genere.

Gli obiettivi futuri sono quelli di sviluppare la medicina di genere in modo da ottimizzare così terapie e prevenzione rispetto al target femminile in cui è sempre più evidente che farmaci e patologie si comportano in modo differente rispetto al target maschile; creare un collegamento fra ricercatori/ricercatrici e componente medica per un’attenta valutazione di differenze biologiche, fisiologiche, patologiche tra uomini e donne al fine di giungere a un livello sempre maggiore di medicina personalizzata; sostenere ricerca e osservazione clinica in ottica di genere allo scopo di identificare i problemi di assistenza sanitaria e tutelare in toto la salute sia delle donne che degli uomini; infine, migliorare la conoscenza in campo farmacologico sviluppando alleanze tra Università e ditte farmaceutiche al fine di evidenziare le differenze farmacocinetiche e farmacodinamiche legate all’uso di nuovi farmaci.

 

[1]Michael Alderman Albert Einstein College of Medicine, New York

[2]The Puzzle of Aspirin and Sex, in New England Journal of Medicine, 2005

[3]Impact of gender on pharmacokinetics and metabolism of psychotropic drugs 2007;  D. Marazziti A. Baldini M. Carlini L. Bevilacqua M. Catena F. Golia M. Picchetti L. Dell’Osso Dipartimento di Psichiatria, Neurobiologia, Università di Pisa

 




Il ketchup fatto in casa

Non è esattamente un ingrediente tipico della nostra cucina, ma agli adolescenti piace moltissimo, e forse non solo a loro, quindi perché non farla in casa?

Abbiamo così la certezza di consumare un prodotto sano e controllato.

Gli ingredienti per 6 vasetti da 250 grammi cadauno:

  • • 2,5 chili di pomodori maturi
  • • ½ chilo di cipolle
  • • 3 gambi di sedano
  • • 50 g. di zucchero di canna
  • • 100 g. di zucchero semolato
  • • 200 ml. di aceto
  • • ½ cucchiaio di senape in polvere
  • • ½ cucchiaio di paprika dolce

Tempo di preparazione: 30 minuti

Tempo di cottura: 1 ora

Lavate i pomodori, sbollentateli per un minuto in acqua bollente, scolateli e, appena possibile, sbucciateli.

Tagliateli a metà per eliminare i semi, almeno la maggior parte, e trasferiteli in una pentola antiaderente

Pulite le cipolle e il sedano, lavateli bene, tagliateli a pezzetti e uniteli ai pomodori.

Cuocete il tutto per circa venti minuti dal bollore, verificando che le verdure siano ben tenere. 

Spegnete il fuoco e amalgamate con il frullatore a immersione, quindi passate il tutto con il passaverdura, per avere un composto cremoso e liscio.

Aggiungete ora la senape, i due zuccheri, la paprika e l’aceto. 

Fate cuocere ancora il tutto per 40 minuti.

Versate la salsa nei vasetti, precedentemente ben lavati e asciugati, chiudeteli ermeticamente, rovesciateli per favorire il sottovuoto.

Quando i barattoli saranno perfettamente freddi, la salsa è pronta per il consumo.

Il ketchup preparato in casa, oltre a essere comodo per il consumo in famiglia, può diventare una buona idea-regalo.




Campionati del mondo di calcio. Russia 2018 Alcuni buoni motivi per tifare Islanda

La tifoseria italiana, orfana della Nazionale ai Campionati del mondo di calcio, sta cercando squadre alternative; c’è chi fa il tifo per le favorite, chi preferisce le più deboli, chi quelle europee, chi le americane. Un intero Paese ha risolto il problema tifando in massa per il beniamino locale Thiago Alcantara, oggi con la maglia della Spagna; il bambino nacque l’11 aprile 1991 proprio qui, a San Pietro Vernotico (Brindisi), perché il padre Mazinho, di origini brasiliane, giocava nel Lecce.

Le prime prove delle squadre più forti, almeno sulla carta, sono state pareggi o deludenti sconfitte, allora vale la pena guardare con rispetto e ammirazione verso la piccola Islanda che si è rivelata una conferma, e non una meteora passeggera, battendosi con onore con l’Argentina di Messi.

Desta stupore che un Paese di soli 334.000 abitanti abbia circa 20.000 tesserati (di cui il 25% donne) e 650 allenatori diplomati, assunti a tempo pieno. Da due anni a questa parte, dopo gli Europei, gli investimenti sono stati grandiosi e i frutti si vedono: secondo la graduatoria Fifa nel 2013 la squadra era al 135° posto, ora è al 22° (l’Italia al 19°…); in Russia è arrivata per meriti indiscussi vincendo in un girone non facile. Ma quello che veramente colpisce anche chi non è tifoso/a e non si interessa di  calcio è avvenuto in ambito sociale, in un arco di tempo ben più lungo. Il governo islandese ha coinvolto la gioventù incoraggiando la pratica del calcio come un vero motore di socializzazione e di crescita. In un Paese quasi spopolato e freddo sono stati costruiti stadi coperti e riscaldati, sono stati formati tecnici, è stata incentivata la partecipazione femminile. I risultati sono concreti e dimostrati dai fatti, i dati del successo parlano da soli: in neppure venti anni quindicenni e sedicenni che abusavano di alcool sono scesi dal 48% al 5%, chi fa uso di cannabis dal 17% al 7%, chi fuma sigarette dal 23% al 3%.

E’ evidente che non sarà tutto merito delle attività sportive e del pallone, ma certo è la prova che investimenti intelligenti nel tempo libero giovanile, a lungo termine, vengono premiati ed è bello a Mosca vedere festeggiare il pubblico e i calciatori nella Geyser sound, una sorta di allegra  “ola” collettiva a braccia alzate, con coro e battimani ritmati. E poi quelle magliette azzurre sfumate di bianco e rosso – a ricordare l’acqua, il ghiaccio, il fuoco dei vulcani – sono state create da un’azienda di Parma, la Erreà. Quindi un po’ di Italia si può trovare anche sui campi di calcio russi.




Torta di fichi

Semplice come la Maremma, ancora grazie alla vecchissima signora che la preparava ogni anno.

Pelate slmeno una dozzina di fichi ben maturi, e conservateli su un piatto in frigo.

Preparate una crema con:

500 cc di latte

2 uova

2 tuorli

100 gr di zucchero

60 gr di farina

estratto di vaniglia

scorza di limone grattugiata.

Sbattete le uova con lo zucchero, aggiungete gli aromi, la farina e il latte a filo. Sul fuoco lento finché non si addensa. Lasciate raffreddare e conservate in frigo intanto che preparate il Pan di Spagna.

Pan di Spagna:

4 uova

2 chiare (quelle avanzare dalla crema)

250 gr di farina

200 gr di zucchero

un pizzico di sale

mezza bustina di lievito (se non volete rischiare)

Sbattete le uova con lo zucchero e solo quando saranno spumose aggiungete tutto il resto. Forno a 180° per circa 45’. Lasciate raffreddare.

Montiamo la torta.

Tagliate il Pan di Spagna eliminando la calotta superiore. Bagnatelo con cucchiaiate di  latte freddo. Spalmate la crema in uno strato spesso e disponete sopra i fichi tagliati in quattro, ricoprendo interamente la superficie.

Lasciate in frigo fino a che riuscite a farlo…




La rivoluzione genomica al servizio della salute

Era il 28 febbraio 1953 quando, nei laboratori di Cambridge, il biologo americano James Watson e il fisico britannico Francis Crick, con il contributo della “dimenticata” Rosalind Franklin, descrissero la struttura a doppia elica del DNA. 

Dalla pubblicazione della scoperta su Nature, il 25 aprile dello stesso anno, e il Nobel a Watson e Crick nel 1962, sono stati fatti enormi passi avanti sullo studio della doppia elica che contiene la mappa genetica umana. Nessuno si aspettava che la soluzione al rompicapo del patrimonio genetico fosse così semplice: un alfabeto di sole quattro lettere A,C,G T (adenina, citosina, guanina, timina). Molte le sorprese che si sono susseguite nei decenni, ad esempio la scoperta della ricombinazione genetica che ha permesso di produrre insulina umana per le persone affette da diabete usando batteri cresciuti in laboratorio. Nel 1978, infatti, gli scienziati della società di biotecnologie Genentech di S. Francisco usarono un plasmide modificato di batteri di E. coli per sintetizzare l’insulina. 

Inoltre un certo numero di vaccini viene prodotto con le tecniche del DNA ricombinante, come quello anti epatite B  che dagli anni novanta  viene ottenuto a partire da HBsAg prodotto in cellule di lieviti (Saccharomyces cerevisiae). Da quando si è giunti al sequenziamento del genoma umano, nel 2003, sta avvenendo un grande cambiamento a livello mondiale: tuttora sono 25 i  paesi nel mondo che stanno realizzando  programmi di genomica a livello nazionale. I più importanti sono quello cinese, sul genoma di un milione di persone, quello britannico, su 100mila (The 100000 Genomes Project) e quello statunitense, la Precision Medicine Initiative, lanciata dall’ex presidente Obama. Miliardi di dollari sono stati quindi investiti per compiere il passo successivo a quello realizzato all’inizio del secolo dal Progetto Genoma, quando venne trascritta la sequenza di lettere corrispondenti all’alfabeto della vita sulla terra così come si ritrova nel DNA  contenuto in ogni cellula umana. Se nel 2003 furono necessari ingenti investimenti e centinaia di ricercatori per identificare e mappare i geni del genoma umano, oggi questa procedura è molto più rapida grazie ai big data, mezzi di ricerca informatici sempre più potenti. Così la conoscenza delle caratteristiche genetiche individuali inizia a influire in diversi campi della medicina, infatti le specificità genetiche di ognuno possono avere un impatto sulla personalizzazione dei trattamenti o sull’identificazione di predisposizione a malattie o a conseguenze di farmaci, stili di vita e regimi alimentari. Questa che viene identificata come medicina di precisione, fa sì che i progressi della genomica abbiano già un profondo impatto nel condizionare la decisione clinica e terapeutica in patologie importanti, ad esempio in oncologia e in immunologia, in particolare dando la possibilità di individuare velocemente mutazioni o variazioni del  genoma che influenzino la risposta a un farmaco. L’introduzione di trattamenti a bersaglio molecolare, diretti verso una specifica mutazione, ha portato a una prima personalizzazione delle cure, per cui se alcuni farmaci sono dati a pazienti con un determinato marcatore si evitano inutili costi ed effetti collaterali indesiderati in coloro che non trarrebbero beneficio dal trattamento. 

Un altro importante filone della genomica riguarda il riconoscimento delle caratteristiche genetiche che predispongono a diverse malattie. Mentre la farmacogenomica non pone questioni etiche perché è a vantaggio del paziente, la conoscenza di questi dati apre questioni molto più delicate, che spaziano dagli aspetti psicologici a quelli legali. 

Quando è bene sapere? Tutti desiderano sapere? Chi deve sapere di questa predisposizione: solo l’interessato, o anche i familiari, i partner, i datori di lavoro, le assicurazioni? Sapere di esserne portatore può aiutare a prevenire e salvare la vita, ma la medesima conoscenza potrebbe condizionare la sfera privata e le relazioni con gli altri oltre che privare di una tutela assicurativa. Infine è rilevante l’aspetto psicologico legato al sentirsi malati o vivere in una situazione di pericolo incombente. 

Giorno dopo giorno, abbiamo più informazioni, sempre più pezzi vengono messi insieme nella formazione del complesso scenario di molti tipi di malattie.  Occorre però  un processo di apprendimento collettivo che non riguardi solo gli specialisti, in modo da utilizzare precisione e  personalizzazione per  garantire  a ciascun individuo le migliori condizioni di salute. 

Se per decenni la ricerca medica e farmacologica si è spesa con un approccio one size fit all, a taglia unica, con la ricerca di farmaci quanti più ad ampio spettro o terapie efficaci su quanti più pazienti affetti da malattie simili, ora lo scenario  è diverso, proprio come sono diversi  i miliardi di esseri umani. 

Per saperne di più: 

Nature communications 

http://www.infoplease.com/cig/biology/dna-technology-applications.html  http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC1021739/ 




Muffin di piselli

Vi avanza mezza tazza di piselli? Non nascondeteli dentro un minestrone o un passato di verdura, ma rendeteli protagonisti con questa ricetta.

Garantisco che è semplice, velocissima e di bell’effetto!

 

Ingredienti per circa 30 piccoli muffin (diametro 4 cm. circa)

300 grammi di farina bianca

50 grammi di burro morbido

100 grammi di Parmigiano Reggiano 24 mesi grattuggiato

4 uova

½ bustina di lievito istantaneo per torte salate

½ tazza di piselli sgranati – anche avanzati da un’altra preparazione

1 bicchiere di latte

Sale

Semi di girasole e di papavero

1 stampo in silicone

 

Tempo di preparazione: 15 minuti

Tempo di cottura: 30 minuti

Come dicevo, la lavorazione è veloce, è bene accendere subito il forno perché vada in temperatura.

In una ciotola si sbattono le uova con il parmigiano e un po’ di sale (non troppo, il formaggio è già salato).

Si amalgama il burro, quindi si unisce la farina, aiutandosi man mano con il latte, per ottenere un impasto della consistenza di una crema morbida, ma soda.

Infine si aggiunge il lievito, rimescolando bene per distribuirlo uniformemente, e i piselli.

Si versa il composto negli spazi dello stampo in silicone, si completa con qualche seme sulla superficie, e si passa in forno, dove cuoceranno e lieviteranno perfettamente. Con il mio stampo ho fatto tre “infornate” ottenendo, come dicevo, circa trenta muffin.

Sono morbidissimi, appetitosi, buoni tiepidi, ma ottimi freddi, e si conservano così per un paio di giorni, senza indurire né asciugarsi.

 

Variazioni sul tema: Oltre che con i piselli si possono preparare con gli asparagi o con i fagiolini (lessati e tagliati in piccoli pezzi) oppure, in versione più invernale, con dadini di prosciutto.

 




Arrosto sconcertante (di vitello con la sua salsa)

Ve lo consiglio, piace sempre a tutti ed è di una facilità sconcertante prepararlo.

Per la scelta del pezzo di carne affidatevi al macellaio (é il modo migliore, bisogna far leva sull’amor proprio del soggetto in questione).

Io calcolo un 100/120 grammi (al massimo!) di carne a testa per una cena formale, di più se invece è una normale cena familiare, diciamo sui 150 gr a testa, perché di solito fa da piatto unico, insieme a un bel purè.

Ingredienti

un arrosto di vitello del peso desiderato
2 carote
2 gambi di sedano
2 cipolle dorate
1 bicchiere colmo di vino bianco
1 bicchiere colmo di olio extravergine (circa, ognuno adegui la quantità alla pentola utilizzata: sul fondo deve esserci un dito di olio)
acqua BOLLENTE (a occhio, in un bicchiere normale, un dito di acqua caldissima)
sale
pepe nero

Procedimento
È fondamentale utilizzare un tegame dal fondo assai spesso, oppure una pentola ovale di ghisa pesante.

Tagliate le verdure in grossi pezzi. Di solito 3, al massimo 4 ognuna.
Versate tutto il bicchiere di olio nel tegame (deve essere proprio così abbondante, fidatevi), portatelo a temperatura e unite tutti le verdure. Cospargetele di pepe nero e fatele appena dorare a fuoco vivace.
Mettete a questo punto a rosolare anche la carne, nel tegame.  È molto importante rosolarla bene, girandola spesso senza bucarla. Usate due palette di legno.
Quando la vedrete ben dorata, versate il vino, lentamente, sulle verdure (evitate di bagnare direttamente la carne), lasciate che evapori a fuoco vivace, poi aggiungete un dito di acqua CALDISSIMA (questo è importante, deve essere molto calda per evitare uno choc termico alla carne, che si indurirebbe), chiudete con il coperchio e lasciate cuocere circa 1 ora abbassando la fiamma, che ora deve essere dolce.

Trascorso il tempo (dipende sempre dal peso dell’arrosto, e dalla qualità della carne. Io di solito come base calcolo 30 minuti ogni ½ kg di carne, ma la cucina è intuito, e dunque affidatevi anche a quello), salate la carne e rimettete il coperchio e aspettate che l’arrosto assorba il sale, poi scoperchiate e se necessario fate ridurre il fondo di cottura (ma non troppo. Anche qui, ascoltate cosa vi dice…)
Insomma, spegnete il fuoco dopo aver effettuato una sintesi personalissima tra un’alchimia temporo-olfattivo/visiva e una razional/intuitiva.

Se invece vi servisse ancora un consiglio (se la cucina vi annoia, o se siete alle prime armi), posso dirvi che ci si accorge dal colore dell’olio e delle verdure quando è ora di spegnere. L’acqua contenuta nell’olio evaporando lo lascia più limpido, e le verdure acquistano riflessi dorati. Io mi regolo così.
Togliete l’arrosto dal tegame e avvolgetelo subito in un foglio di alluminio. Tagliatelo (con un coltello a lama liscia affilatissima. Non utilizzate lame seghettate perché vi ritrovereste con della carne tritata…) a fette sottili solo quando sarà ben freddo.

Mentre l’arrosto riposa (se volete, anche in frigo), frullate con il minipimer le verdure direttamente nella pentola, insieme al loro sughetto. Otterrete una salsina davvero squisita. Riponetela in un contenitore a parte.

Servitela caldissima, sempre a parte, insieme alla carne, che vi suggerisco di accompagnare con un purè di patate cui avrete aggiunto un abbondante pizzico di noce moscata…

Un successo assicurato.

 

  1. S. Se una certa quantità di salsina dovesse sopravvivere all’arrosto (cosa di cui dubito, preparate del buon pane casereccio, ve lo chiederanno tutti per la scarpetta), vi consiglio di condirci dei ravioli.

 

 




Farro con gambi di cipollotti e nocciole

In questa stagione i cipollotti sono al meglio, saporiti e delicati insieme, perfetti per arricchire una bella insalata fresca.

Se usiamo la parte terminale, più tenera, ricordiamoci di non scartare i gambi: possiamo usarli per numerose ricette, come frittate o crocchette, oppure per questa deliziosa insalata, che può essere proposta sia calda (non bollente) che, più avanti, a temperatura ambiente.

Gli ingredienti per quattro persone:

  • 320 grami di farro (si può sostituire con il riso)
  • 3 gambi di cipollotti
  • 1 manciata piena di nocciole
  • Brodo di dado fatto in casa
  • 4 cucchiai di buon olio evo
  • Parmigiano reggiano grattugiato a parte

Tempo di preparazione e cottura: 30 minuti

 

Dai gambi dei cipollotti recuperate la parte centrale, più tonica e sana, lavatela bene e tagliatela a rondelle.

Scaldate due cucchiai d’olio in un tegame, meglio se di coccio, aggiungete i cipollotti, fateli appena soffriggere, quindi portateli a cottura con l’aggiunta di un pochino d’acqua.

Versate il farro, anch’esso ben sciacquato, fate insaporire e portatelo a cottura bagnando man mano con il brodo fatto con il dado casalingo.

Intanto, tritate grossolanamente le nocciole, che andranno aggiunte alla fine, a cottura ultimata, ma a fuoco spento.

Servite il piatto caldo ma non bollente, proponendo a parte il parmigiano grattugiato, solo per gli irriducibili che non possono farne a meno.

In estate si può preparare lo stesso piatto, con qualche piccola variante: il farro (o il riso) saranno bolliti e conditi con i gambi dei cipollotti cotti come spiegato, le nocciole, senza parmigiano.

Strategie

Come tutti i resti delle verdure, anche i gambi dei cipollotti si possono congelare, puliti, e conservare in freezer fin quando non ci servono.